Part time: i periodi di non lavoro devono essere accreditati ai fini pensionistici 

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I periodi di mancato lavoro dei dipendenti part time devono essere conteggiati ai fini del calcolo dell’anzianità contributiva necessaria ad acquisire il diritto alla pensione; l’esclusione di tali periodi dal calcolo dell’anzianità, se non esiste una ragione obiettiva che giustifica questo trattamento speciale, è illegittimo, in quanto viola la normativa comunitaria sul part ime, nella parte in cui vieta la discriminazione dei lavoratori che riducono l’orario.

Con questa conclusione il Tribunale di Padova (sentenza n. 473 del 5 luglio 2016, relatore dott. Perrone) ha riconosciuto il diritto di alcuni lavoratori part time a vedersi accreditata presso l’Inps la contribuzione utile ai fini della pensione anche per i periodi in cui, applicando la riduzione di orario concordata con il datore di lavoro, non è stata svolta la prestazione.

I lavoratori ricorrenti erano tutti titolari di un rapporto di lavoro subordinato ad orario ridotto, sulla base del quale svolgevano il c.d. part time verticale ciclico: la riduzione oraria veniva distribuita su base annua, e ciascun dipendente alternava 9 mesi di lavoro ad orario pieno (8 ore giornaliere) a tre mesi in cui non svolgeva alcuna attività lavorativa.

L’INPS gestiva questi rapporti accreditando la contribuzione solo per il periodo di 9 mesi durante il quale la prestazione di lavoro era effettivamente svolta; per gli altri 3 mesi di pausa lavorativa, l’Istituto di previdenza non accreditava alcun contributo settimanale, creando in capo ai dipendenti un vuoto rilevante ai fini della maturazione del diritto alla pensione.

Il Tribunale di Padova riconosce l’illegittimità della condotta dell’INPS, applicando il principio di diritto già elaborato, in relazione a una controversia di contenuto analogo, dalla Corte di Cassazione (con le sentenze n. 2467/2015 e n. 8565/2016).

Tali sentenze (che, a loro volta, hanno richiamato i principi affermati da una pronuncia della Corte di Giustizia Europea, la n. 395 del 10 giugno 2010) hanno chiarito che, nella materia dell’anzianità contributiva utile ai fini pensionistici, non è giustificabile una disparità di trattamento tra lavoratori a tempo pieno e lavoratori part time.

La Corte di Cassazione è giunta a tali conclusioni ricordano la disciplina comunitaria del sistema contributivo e pensionistico, dettata dalle direttiva CE 97/81. Secondo la direttiva comunitaria, l’anzianità contributiva utile ai fini della determinazione della data di acquisizione del diritto alla pensione deve essere calcolata per il lavoratore a tempo parziale, come se quest’ultimo fosse occupato a tempo pieno e, quindi, prendendo in considerazione anche i tempi non lavorati.

Solo qualora la prestazione lavorativa sia stata interrotta o sospesa per un impedimento, i periodi di tempo non lavorati non vengono in rilievo ai fini del calcolo dell’anzianità contributiva; invece, se l’impiego è continuativo, non può esserci interruzione nell’anzianità contributiva.  

La sentenza del Tribunale di Padova conferma questi principi, ricordando che l’eventuale disparità di trattamento sarebbe consentita solo in presenza di ragioni obiettive, del tutto assenti nella fattispecie; i periodo non lavorati, osserva il Giudice, nell’ambito del part time verticale ciclico costituiscono una normale modalità di esecuzione del contratto, e non si atteggiano come una sospensione o una interruzione dello stesso, in quanto il part time non comporta una sospensione dell’impiego.

 

(Il Sole 24 Ore, 8/9/16)

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