Colloquio con Lucia Valente, Assessore al Lavoro della Regione Lazio
Giampiero Falasca
Lucia Valente è competente, giovane e donna: tre caratteristiche molto invise alla politica italiana degli ultimi anni, dove invece domina l’incompetenza, l’anzianità di servizio e un collaudato maschilismo. Proprio per questo, tutti quelli che sperano nell’arrivo di una nuova classe dirigente dovrebbero fare il tifo per Lucia Valente: se ce la farà, vorrà dire che il ricambio è iniziato.
Ma passiamo alle domande.
Nonostante anni di investimenti, i servizi pubblici per l’impiego faticano a decollare. Quali interventi pensa di programmare per migliorare la qualità e l’efficienza dei centri per l’impiego laziali? Non direi che “faticano a decollare”: non decollano affatto. Negli ultimi anni, per quel che posso vedere e capire, non c’è alcun segnale di un miglioramento, né sul piano dell’efficienza delle strutture, né su quello della produttività dei risultati effettivi. La cosa che noto è che all’Amministrazione regionale del Lazio manca la capacità di rilevare in tempo reale i flussi nel mercato del lavoro: essa non conosce il dato aggregato e disaggregato dei flussi di contratti di lavoro stipulati mese per mese in ciascuna provincia e dei licenziamenti individuali e collettivi. E’ praticamente impossibile parlare di analisi di questi flussi. Ancor meno l’Amministrazione è in grado di quantificare, sempre in tempo reale, il contributo che i servizi regionali danno effettivamente a questi flussi: cioè di dire quanti incontri fra domanda e offerta avvengono effettivamente in conseguenza della mediazione operata dai centri per l’impiego gestiti o finanziati dalla Regione. E nel contempo c’è una quantità impressionante di dipendenti della Regione la cui professionalità potrebbe essere valorizzata per rafforzare i sistemi informativi in favore dell’occupazione, del monitoraggio dei servizi erogati anche tramite l’attivazione dell’osservatorio del mercato del lavoro – che ci siamo impegnati ad attivare entro dicembre 2013 – e l’elaborazione statistica dei dati .
Gli operatori privati del mercato del lavoro – Agenzie per il lavoro, terzo settore, enti bilaterali ecc – non sono ancora entrati in rete con i servizi pubblici. La Regione intende intervenire? Certo che intende intervenire. Occorre prendere atto realisticamente del gap esistente, sul piano del know-how specifico, tra i servizi regionali e gli altri servizi offerti da operatori del settore privato, del settore no profit e da alcuni – non tutti – tra gli enti bilaterali. E realizzare un sistema di cooperazione e accreditamento che consenta di riqualificare la spesa pubblica aumentandone l’efficacia. In questo modo sarà possibile anche stabilire un nuovo benchmark di efficienza e produttività, con il quale i servizi pubblici possano e debbano confrontarsi. Possiamo ispirarci ad alcune esperienze molto interessanti di cooperazione tra pubblico e privato in questo campo: penso soprattutto all’esperienza olandese, ma anche ad alcune esperienze spagnole.
La costruzione del sistema di “accreditamento per i servizi al lavoro” prevista dal dlgs 276/2003 può essere uno strumento? Sicuramente sì: è un passaggio obbligato per realizzare il sistema di cooperazione di cui sopra.
La cassa in deroga ha consentito di gestire molte situazioni di crisi, ma per il 2013 è utilizzabile solo fino al prossimo 30 giugno; come si stanno muovendo le Regioni per sollecitare il rifinanziamento del semestre successivo? Per il 2013 la regione ha stipulato con le parti sociali due accordi quadro che riguardano rispettivamente la CIG in deroga e la mobilità in deroga. L’accordo disciplina l’utilizzo degli ammortizzatori sociali sulla base di una dotazione assegnata dal ministero del Lavoro di 38 milioni di euro. Per il secondo semestre del 2013 le Regioni hanno chiesto e chiedono al Governo centrale di provvedere al rifinanziamento e stanno trattando un accordo con il ministero del Lavoro. Tuttavia, occorre riconoscere che la nozione stessa di un sostegno del reddito “in deroga” contrasta con la nozione di “assicurazione del lavoro”: “assicurazione” implica sicurezza, implica cioè che imprese e lavoratori possano fare affidamento su un determinato trattamento, sappiano in anticipo a quanto esso ammonta e a quali condizioni esso viene erogato. Andare avanti con il sistema della “deroga” significa spendere questo denaro nel modo peggiore. Nell’immediato non possiamo farne a meno; ma dobbiamo impostare fin d’ora la road-map per superare questa fase di emergenza realizzando un assetto stabile degli interventi per la soluzione delle crisi occupazionali.
La legislazione regionale sul lavoro (intesa nel suo complesso: incentivi, organizzazione mercato del lavoro, apprendistato) è adeguata, oppure ci sono temi sui quali intende intervenire? È una legislazione molto disorganica. Un primo passo importante da compiere è la realizzazione del testo unico delle leggi regionali in materia di lavoro, formazione professionale, orientamento scolastico e professionale e altri servizi al mercato del lavoro. Ma non c’è soltanto un problema di leggibilità del testo legislativo: occorre anche dare un indirizzo strategico preciso a questa legislazione.
A proposito di indirizzo strategico, vorremo sapere quali sono le tre priorità della sua agenda, da realizzare nel corso dei 5 anni di governo che aspettano la giunta Zingaretti. Primo: rendere trasparente il funzionamento della macchina. Cittadini, imprese e lavoratori hanno diritto di sapere dettagliatamente quanto costa loro l’amministrazione regionale del lavoro. A questo riguardo possiamo contare sulle competenze dell’assessorato alla trasparenza e alla semplificazione. Secondo: coniugare strettamente i servizi per l’incontro fra domanda e offerta di lavoro con i servizi di formazione professionale. Per questo è necessaria una cooperazione stretta tra i due assessorati. Terzo: occorre riprendere il discorso sul reddito minimo garantito per le persone prive di reddito; ma qui occorre non ripetere gli errori del passato: un sistema di sostegno universale del reddito può stare in piedi finanziariamente, e non produrre effetti negativi sul funzionamento del mercato del lavoro, solo se l’erogazione del trattamento è strettamente collegata con l’intervento di servizi per l’impiego che assistano intensivamente la persona interessata e in qualche misura ne controllino la disponibilità effettiva per tutto quanto è necessario per trovare una nuova occupazione. Quarto: poiché le strutture pubbliche non sono in grado di offrire questa assistenza intensiva in modo efficace, occorre attivare una stretta cooperazione tra pubblico e privato in questo campo, cercando di sfruttare il più possibile le buone esperienze disponibili nel panorama europeo. Si può pensare a una prima fase di sperimentazione limitata, per poi mettere a punto e allargare l’esperimento sulla base dei primi risultati. D’altra parte, il livello attuale dello spreco di denaro pubblico è tale, che basterebbe la riqualificazione anche soltanto di un quarto della nostra spesa per questo capitolo di bilancio per attivare qualche cosa di serio, innescare un circolo virtuoso, ridare orgoglio e prestigio a chi lavora alle dipendenze della Regione in questo settore.
Colloquio con Giordano Fatali, fondatore e Presidente di HRCommunity, la più grande organizzazione italiana di manager delle risorse umane.
Fatali, il suo è un punto di vista in un certo senso “privilegiato”, nel senso che ha modo di conoscere da vicino i problemi presenti all’interno delle aziende ed in ambito Risorse Umane. Ha avuto modo di farsi un’idea sul come risolvere il problema dell’occupazione in Italia?
Inizierei con una puntualizzazione non da poco. Non da poco nel senso che chiama in causa l’identificazione del problema a mio parere principale per il Lavoro nel nostro Paese. Non la mancanza di occupazione, ma piuttosto il fatto che quel poco di offerta professionale che c’è sempre più spesso non riesce ad incontrare la domanda. Il problema, dunque, non è l’assenza di lavoro, concetto peraltro non esattamente rispondente alla realtà dei fatti, ma il matching imperfetto ed incompleto che domanda ed offerta di lavoro si trovare a realizzare ai nostri giorni. Il tutto al netto di un assetto di regole, il nostro, che non incentiva le aziende ad assumere. Troppi adempimenti, troppi formalismi, eccessive trappole interpretative, limiti di tutte le risme. Con l’effetto unico ed ultimo che fa apparire ai nostri il sistema come tarato per contrastare chi vuole assumere.
Come si potrebbe a suo parere migliorare l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro?
Innanzitutto, bisognerebbe secondo me affrontare coerentemente ed attivamente l’ultima questione che ho segnalato, intervenendo in termini di semplificazione delle regole e degli adempimenti. Ancora, bisognerebbe lavorare sviluppando un focus privilegiato e dettagliato sulle attività di monitoraggio del mercato, e di qui sulla verifica e diffusione delle informazioni ottenute. Sono fronti, questi, sui quali devo a malincuore rimarcare un netto ritardo del nostro Paese. Che si concreta nel fatto che, all’atto pratico, chi si trova a cercare lavoro – e di questi tempi stiamo parlando di una porzione estremamente ampia della popolazione – si trova in molti (troppi!) casi disorientato. Uno spaesamento che investe in primissimo luogo i giovani; ma che affligge tutti quanti. E che finisce per coinvolgere anche il Management, che di middle o top si voglia parlare. Tanto i giovani quanto i professionisti più maturi vivono infatti all’oscuro delle previsioni su quali saranno i settori ed i ruoli con maggiori prospettive di crescita e di sviluppo già nell’immediato futuro. Ed a questo bisogna assommare le lacune presenti nel sistema formativo, con scuola ed università ancora tanto prese a parlare linguaggi differenti quanto sostanzialmente lontane dal mondo del lavoro. Una galassia professionale, poi, in riferimento alla quale permane un’idea ancora troppo generica e stereotipata di lavoro. Quando un’azienda pubblica un annuncio non sta infatti ricercando un “manager” o un “lavoratore” generico, ma un professionista dotato di uno specifico ed articolato profilo di competenze, che vada ad inserire la propria capacità umana e lavorativa in un macro-contesto di riferimento nel quale vanno tenute in adeguato conto anche le specifiche variabili proprie del settore produttivo d’appartenenza.
Come scrivere un curriculum che colpisca veramente le aziende?
Adottando poche – ma buone – regole. Il curriculum deve essere anzitutto sintetico. Al contempo dovrebbe evitare di incappare nella tentazione di un’eccessiva genericità, soprattutto per quanto riguarda la terminologia. Per garantire una maggiore efficacia ed incisività, suggerirei di dividerlo in due sezioni. Nella prima di esse, sarebbe utile fornire informazioni stringate su quali competenze si hanno, qual è il ruolo a cui si aspira e quali i risultati sinora ottenuti. Il tutto avendo cura di entrare nel dettaglio, il che significa anzitutto non scadere in general-generiche litanìe ritenute collaudate… “Dinamico, brillante, orientato al risultato e fortemente motivato…” è un film già visto che ha l’unico effetto di squalificare anche il migliore dei candidati. Ovviamente si tenga presente che le competenze, il ruolo ed i risultati devono essere strettamente correlati alla posizione che l’azienda sta ricercando. Alla seconda parte del resumé destinerei invece il complesso degli approfondimenti relativi al percorso professionale del candidato. Si tratterà in pratica di una sezione “esplosa”, che sarà cioè letta in seguito, e soprattutto in base all’interesse ed alla curiosità che la prima parte (quella sintetica) sarà stata in grado di suscitare.
Per attirare l’attenzione dell’HR aziendale, cosa scrivere nell’oggetto della e-mail con la quale si invia il cv?
Iniziamo da cosa non inserire. Il nome ed il cognome, per esempio. Un’ingenuità che presupporrebbe che il selezionatore di turno apra il cv e lo legga dovendo concettualizzare ex novo l’eventuale ambito di inserimento del candidato – con ovvio allungamento dei tempi di consultazione del materiale. Un’operazione che, invece, dovrebbe essere stata già compiuta a monte dal candidato stesso. Molto meglio, allora, indicare in oggetto il profilo o l’area cui si aspira.
Chi è favorito oggi nel mercato del lavoro?
A mio parere, sarà tendenzialmente in grado di imporsi sempre più sul mercato chi è in possesso di una (super-) specializzazione. Sto dicendo che un’ottima chiave per conquistarsi un futuro degno di questo nome è saper fare qualcosa di molto preciso, e saperlo fare in modo pressoché esclusivo. Magari complice qualche anno di lavoro all’estero, in ossequio all’ovvio principio dell’international mindset.
Nell’attuale congiuntura politica è possibile pensare che vengano realizzati interventi a supporto di questa specifica direzione?
Io penso che chiunque si prenderà l’onere e l’onore di governare il Paese non potrà rifuggire temi di questo calibro e di questa urgenza. Perché il lavoro è oggi la nostra più grande emergenza. Un segno dei tempi che richiede a gran voce interventi rapidi ed il più possibile efficaci. Azioni, soprattutto, lontane dalla genericità immobile degli slogan, eppure al contempo vicine più che mai ai fabbisogni delle aziende e delle persone, di chi offre lavoro e di chi cerca un’occupazione.
Tiziano Treu: investire sulle politiche attive
Tiziano Treu, Professore di Diritto del Lavoro, ex Ministro del Lavoro
Professore, iniziamo dalla fine: dopo il risultato elettorale, è possibile pensare che si formi presto un Governo capace di affrontare l’emergenza lavoro?
Non saprei, è ancora presto per dirlo. Vediamo cosa emergerà dal dibattito di questi giorni, mi sembra che tutti i partiti stiano ancora cercando di decifrare uno scenario che, sino a qualche giorno fa, sembra imprevedibile. Certamente, il Paese non può restare senza un Governo saldo. C’è l’emergenza lavoro da gestire, le cose da fare sono tante.
Proviamo allora a fare l’elenco degli interventi che dovrebbero essere attuati dal nuovo esecutivo. Cosa serve oggi per dare risposte al mercato del lavoro in Italia?
Politiche attive, la partecipazione dei lavoratori all’impresa, la rappresentatività del sindacato, gli ammortizzatori sociali, l’apprendistato e il sostegno ai giovani e alle donne.
Come si può intervenire sull’apprendistato?
Va attuata qualche ulteriore semplificazione di questa forma contrattuale, che in tutti i Paesi è lo strumento più importante per fare passare i giovani dalla scuola al lavoro. La Riforma Fornero ha permesso un miglioramento, ora si può ancora rafforzare lo strumento perché diventi veramente come in Germania una strada maestra per i giovani. Si possono inoltre semplificare le definizioni della legge Fornero su contratti a progetto e partite IVA, che sono un po’ pasticciate. E bisogna realizzare un progetto straordinario per l’occupazione giovanile e per quella femminile; servono interventi specifici per l’occupazione dei gruppi ancora sottorappresentati nel mondo del lavoro, a cominciare da donne e giovani.
Come sostenere l’occupazione giovanile e quella della donne?
L’occupazione femminile va sostenuta con vantaggi fiscali a favore delle donne che lavorano per rendere effettiva la condivisione e conciliazione dei ruoli. Il dramma della disoccupazione giovanile deve essere affrontato con interventi straordinari, anche temporanei, in particolare strumenti e servizi per prendere “in carico” i giovani disoccupati da 6-12 mesi, come proposto dal programma europeo Youth guarantee.
Si sta cominciando a parlare più seriamente di somministrazione?
Dopo anni di demonizzazione oggi si capisce che il lavoro in somministrazione è uno strumento valido perché tutela il dipendente, l`agenzia per il lavoro può dargli continuità d`impiego. Ci sono voluti anni, ma persino la Cgil inizia a dire che se l`agenzia è seria lo strumento è valido.
Perché ci sono voluti così tanti anni per mettere in pratica quel che lei aveva iniziato?
Non so dirle se è finalmente cambiata la cultura di questo Paese. I fatti hanno dimostrato, nel caso della somministrazione, che se un`agenzia è affidabile permette a molti lavoratori di avere un punto di riferimento, è un`occasione e favorisce la reimpiegabilità.
Professore, pensa che il nuovo Governo seguirà questi “consigli”?
Non saprei, come dicevo lo scenario è ancora da decifrare. Spero tuttavia che si prenda seriamente coscienza del fatto che il mercato del lavoro ha bisogno di essere governato, oggi più che mai.
Giorgio Santini: “Semplificare le norme, investire sulla formazione”
Giorgio Santini, ex segretario Cisl, ora Deputato PD
Qual è la sua posizione sulla riforma Fornero, deve essere cambiata nella nuova legislatura?
Penso che dovrebbe evitare di cadere nelle logiche estreme e prendere delle decisioni solo dopo aver verificato gli effetti pratici. Non possiamo ad ogni legislatura ripartire da zero. Propongo quindi di aspettare almeno il primo semestre del 2013 prima di definire se e come intervenire.
Quindi il suo giudizio sulla riforma è sospeso?
Non voglio dire questo, anzi. Ritengo che alcune lacune siano abbastanza visibili, ad esempio è mancata la parte delle politiche attive, su cui pure c’era una legge delega, ma non è stata attuata in tempo. E’ necessario accompagnare la riforma degli ammortizzatori sociali con un concreto rafforzamento delle politiche di formazione e di ricollocamento, se manca il questo pilastro il sistema non funziona. Inoltre, penso che serva una copertura urgente per i settori dove scarseggiano le risorse degli ammortizzatori
Le norme sulla flessibilità in entrata la convincono?
La priorità del sistema deve essere quella di favorire l’inserimento lavorativo; su questo aspetto, mi sembra di vedere troppa complessità, con il risultato che le nuove norme creano inutili complicazioni burocratiche senza aggiungere reali tutele. Il caso emblematico è quello del contratto a termine, rispetto al quale si sono affastellate negli anni norme che dicono una il contrario dell’altra. Ma lo stesso ragionamento vale per gli altri contratti, compreso il lavoro a progetto e le partite IVA.
Quali incentivi possono essere introdotti per stimolare l’occupazione?
Penso che andrebbe ampliata la possibilità di recuperare l’aliquota dell’1,4% che pagano i datori di lavoro che usano rapporti a termine, nel caso in cui si trasforma il contratto a tempo indeterminato. L’ampliamento dell’incentivo consenirebbe di agevolare le trasformazioni contrattuali.
La formazione, gli stage e l’apprendistato: che fare?
Sulla formazione mi sono già espresso, è essenziale per far funzionare le politiche attive. Quanto all’apprendistato, i contratti collettivi lo stanno facendo funzionare, adesso le imprese devono crederci, non ci sono più alibi. In merito agli stage, penso che devono rientrare nei percorsi scolastici, negli ultimi anni dei cicli curriculari, sia alle superiori sia all’università. Supereremmo l’eterna diatriba sul compenso ed eviteremmo i soliti imbrogli. Lo stage diventerebbe uno strumento fondamentale di aiuto alla specializzazione.