Esternalizzazioni selvagge, i paletti dell’ITL

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Tempi duri per chi vuole “prestare” personale senza rispettare le regole fissate dalla legge e dai contratti collettivi per utilizzare correttamente la somministrazione lecita di manodopera.

Proprio quando la giurisprudenza ha detto parole importanti sul tema (si veda la recente sentenza del Consiglio di Stato che ha fissato i paletti entro i quali si può usare l’appalto) anche l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha fissato alcune linee guida molto precise (circolari nn. 6 e 7 del 2018).

Il concetto di fondo che ispira l’Ispettorato del Lavoro è simile a quello seguito dal Consiglio di Stato: le operazioni di prestito di personale sono lecite e ammissibili solo se svolte da Agenzie di somministrazione di manodopera appositamente autorizzate dal Ministero del lavoro (secondo le regole previste dal d.lgs. n. 276/2003). Se invece tali operazioni si svolgono – allo scopo di non applicare le garanzie minime previste dalla legge – mediante appalti fittizi o strumenti analoghi, si versa nel campo dell’interposizione illecita di manodopera.

L’Ispettorato è intervenuto per contrastare il fenomeno preciso delle imprese che pubblicizzano il “prestito” a terzi di propri dipendenti, garantendo un costo del lavoro particolarmente ridotto, la disapplicazione di qualsiasi contratto collettivo nazionale di lavoro, l’esclusione della responsabilità solidale per il committente e la cancellazione dei costi per lavoro straordinario, festivo e malattia. Ultimo – ma non meno importante – vantaggio che viene promesso è la possibilità di interrompere il rapporto lavorativo con questi dipendenti senza particolari formalità, limitandosi a comunicare al loro datore di lavoro l’intenzione di cessare il servizio.

Insomma, ci sarebbero tutti i vantaggi tipici della somministrazione di lavoro (flessibilità organizzativa, ecc.) senza i costi e le garanzie che, giustamente, devono essere applicati da chi utilizza il contratto.

Questo prodotto “miracoloso” non funziona per un semplice motivo, ben evidenziato dall’Ispettorato Nazionale: lo schema, che ruota intorno a un utilizzo improprio del “contratto di rete” è totalmente illecito e, comunque, non garantisce nessuno dei vantaggi promessi.

Il contratto di rete, infatti, non comporta la libertà assoluta nella gestione del personale.

Chiunque viene assunto nell’ambito di tale contratto ha il diritto a vedersi applicato il trattamento economico previsto dal contratto collettivo applicato dal datore di lavoro che procede all’assunzione (o, in mancanza, a quello previsto dal contratto individuabile ai sensi dell’art. 36 della Costituzione).

Inoltre, la base imponibile da utilizzare per il calcolo dei contributi previdenziali non può essere inferiore al valore retributivo individuato dai contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Un altro schema che può prestarsi ad abusi è quello della subfornitura industriale: l’Ispettorato ha ricordato (con la circolare n. 6/2018) che il negozio, anche se usato lecitamente, determina in capo al committente una responsabilità solidale ai sensi dell’art. 29 del d.lgs. n. 276/2003 per i crediti dei dipendenti.

Insomma, si preannunciano tempi duri per i furbi: l’ordinamento garantisce tanti strumenti di flessibilità gestionale (somministrazione, appalto, distacco e subfornitura) ma ciascuno di questi deve essere utilizzato in maniera appropriata, e non per attuare corse al ribasso inquinano la concorrenza tra imprese e danneggiano i lavoratori.

Messaggio, questo, che emerge con forza anche nel nuovo accordo sulle relazioni industriali siglato lo scorso 9 marzo, nella parte in viene dichiarata guerra ai contratti “pirata” e alle operazioni di dumping contrattuale.

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