Raddoppia il ticket obbligatorio che devono pagare le imprese rientranti nel campo di applicazione della cassa integrazione guadagni straordinaria che licenziano personale all’esito di una procedura collettiva.
Secondo quanto prevede la legge di bilancio per il 2018, infatti, il contributo a carico dei lavoratori che licenziano dipendenti al termine di una procedura di riduzione del personale avviata con le forme della legge n. 223/1991 passa da un valore pari al 41% del massimale NASPI (il trattamento di disoccupazione ordinaria) a un valore pari all’81% dello stesso importo.
In termini assoluti, utilizzando gli importi del 2017, questo significa che l’importo del contributo dovuto cresce dalla somma massima di 1.470 al valore massimo di 2.940. Questa innovazione determina una doppia disciplina del contributo di licenziamento. Si applica la regola già esistente (con il tetto a 1.470 euro) per i licenziamenti fondati su giustificato motivo oggettivo aventi natura individuale (per i quali non viene operato alcun ritocco verso l’altro). Si applica, invece, la nuova quantificazione per i recessi aventi natura collettiva intimati da imprese rientranti in area CIGS; tale importo, peraltro, si triplica (e può quindi arrivare sino a un valore massimo di poco inferiore ai 9 mila euro per ciascun lavoratore) se la procedura di riduzione del personale si conclude senza un accordo sindacale.
Nel complesso, la misura dovrebbe servire a spingere le imprese a costruire dei piani di incentivazione all’esodo, invece che procedere con il licenziamento unilaterale, ricalcando lo spirito che sorreggeva il vecchio, e ormai abrogato, contributo di ingresso. Se l’azienda raggiunge un accordo sindacale, infatti, ha un risparmio di circa 6 mila euro per ciascun lavoratore, che può utilizzare per finanziare, in tutto o in parte, i predetti piani.
A parte il raddoppio dell’importo massimo, la legge di bilancio lascia immutate le regole di quantificazione del contributo. Come già previsto in precedenza, quindi, resta confermata la quantificazione del contributo effettivamente dovuto in proporzione all’anzianità di servizio, con un valore per ciascun anno di storia lavorativa sino a un massimo di 36 mesi.
Confermata anche l’obbligatorietà del contributo per tutti casi nei quali l’interruzione del rapporto di lavoro ha come conseguenza il diritto teorico alla percezione della NASPI, a prescindere quindi dall’effettiva fruizione del trattamento (che potrebbe, in ipotesi, non verificarsi se la persona licenziata trova subito una nuova occupazione).
Rimane ferma anche la regola che esclude dall’obbligo di pagamento del contributo alcuni casi specifici (es. risoluzioni consensuali); la legge bilancio, inoltre, esonera dall’aumento le procedure collettive avviate entro il 20 ottobre 2017.
G. Falasca Il Sole 24 Ore 15.01.18