Filippo Chiappi
Con la nascita del rapporto previdenziale sorge contestualmente l’obbligo ipso iure per il datore di lavoro di versare i contributi previdenziali. Tale obbligo nasce indipendentemente da atti di natura amministrativa richiesti per la gestione del rapporto previdenziale, come ad esempio la domanda di iscrizione che i datori di lavoro devono presentare all’Inps per dare inizio agli adempimenti amministrativi per la gestione del rapporto di lavoro.
Può accadere che il datore di lavoro ometta di denunciare all’Inps il rapporto di lavoro, ovvero durante un rapporto di lavoro regolarmente denunciato ometta il versamento di tutta o parte della contribuzione.
Il legislatore si è posto quindi il problema di come disincentivare tali comportamenti per tutelare l’interesse pubblico al corretto comportamento nei confronti degli Enti previdenziali, unitamente alla prassi dei massicci controlli ed accertamenti svolti dagli organi di vigilanza (ispettori) deputati alle verifiche in materia di lavoro, fisco e previdenza assistenziale ed assicurativa. Fino ad un certo momento potevano farlo solo gli ispettori del ministero del lavoro, adesso quelli dell’ispettorato nazionale del lavoro (Inl) dove sono confluiti anche gli ispettori INPS ed INAIL.
La soluzione è stata individuata introducendo forme di penalizzazione e poi depenalizzazione per i datori di lavoro che evadono mediante l’introduzione di sanzioni.
Il sistema sanzionatorio (detto comunemente regime sanzionatorio) ha quindi lo scopo di rafforzare le norme e contemporaneamente di risarcire il danno subito dagli Enti previdenziali per il mancato tempestivo pagamento dei contributi.
Il regime sanzionatorio prevede l’applicazione di sanzioni diverse in relazione alla gravità dell’inadempienza, che si suddividono in sanzioni civili, sanzioni penali e sanzioni amministrative.
L’INPS con la circolare n. 106/2017 ha introdotto un orientamento ereditato dai nuovi principi giurisprudenziali aggiornando il quadro generale del regime sanzionatorio nel caso di mancato versamento dei contributi. Siamo di fronte al concetto di inadempienza contribuiva con cui si intende la fattispecie di mancato versamento di contributi nei termini e con le modalità stabilite dal tessuto normativo. La violazione di tali regole comporta l’applicazione di sanzioni che sono proporzionate alla gravità delle stesse inadempienze: sanzioni civili, amministrative, penali. Sanzioni che hanno la finalità ontologica di irrobustire il rispetto dell’obbligazione contributiva nonché di risarcire gli istituti previdenziali del danno subito per il mancato versamento dei contributi.
Lo scenario ordinamentale sul tema prevede tre fondamentali discipline:
– mancato versamento dei contributi, che prevede due ipotesi: omissione ed evasione;
– mancato versamento delle quote di contributi trattenute ai lavoratori in quanto di loro competenza ( sostituzione contributiva);
– la gravissima fattispecie del lavoro nero.
Per quanto riguarda la prima situazione, l’INPS ricorda come l’applicazione delle sanzioni sia in subordine al concetto di omissione contributiva piuttosto che evasione contributiva.
In tal senso ricorre l’art. 116, comma 8, lett a, legge n. 388/2000, in base al quale L’omissione contributiva si concretizza nel mancato o ritardato pagamento dei contributi rilevabili da denunce e registrazioni obbligatorie (LUL) .
In caso di omesso o ritardato versamento , entro il termine stabilito dalla legge , dei contributi dovuti mensilmente, il cui ammontare è rilevabile dalle denunce e registrazioni obbligatorie,è prevista una sanzione civile del 5,5% dei contributi omessi per giorno di ritardo fino ad un tetto massimo della sanzione stessa pari al 40% dei contributi omessi. Raggiunto tale tetto sono dovuti gli interessi nella misura di quelli di mora, nell’attuale misura del 3,5%.
Sul tema dell’evasione contributiva interviene l’art. 116, comma 8, lettera B), legge n. 388/2000. Il concetto è legato al fatto che il datore di lavoro con l’intenzione specifica di con versare contributi o premi, occulta rapporti di lavoro in essere ovvero le retribuzioni erogate.
L’INPS nella circolare prima citata, parla di evasione contributiva laddove sia presente l’elemento psicologico ossia la non intenzione specifica di non pagare i contributi: il cosiddetto profilo soggettivo. Da cui deriva il fatto (profilo oggettivo) che il datore di lavoro occulta rapporti di lavoro o le retribuzioni.
Per ogni giorno di ritardo nel versamento in caso di evasione, è dovuta la sanzione civile in ragione d’anno nella misura del 30% dei contributi evasi. La sanzione così determinata non può superare il 60% dei contributi evasi. Anche in tale caso, raggiunto tale limite sono dovuti gli interessi nella misura degli interessi di mora, nella misura attuale del 3,5%.
Tuttavia è previsto una sorta di ravvedimento operoso. Nel caso in cui il datore di lavoro presenti una denuncia spontanea della situazione debitoria prima di contestazioni o richieste da parte dell’ente impositore e, comunque, non oltre i 12 mesi dalla scadenza del debito contributivo, provvedendo a versare quanto dovuto entro i 30 giorni successivi a quello della denuncia spontanea, la sanzione civile sarà la medesima di quella prevista nel caso di omissione (sanzione civile pari, al 5,5% per giorni di ritardo fino ad un tetto massimo del 40% dei contributi dovuti.
La seconda situazione concerne il mancato versamento delle ritenute previdenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori: è sanzionato dal legislatore ai sensi dell’articolo 2, comma 1 bis, decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463.
Tale norma prevede due diverse fattispecie sanzionatorie collegate all’importo dell’omissione:la seconda concerne la fattispecie oggetto di depenalizzazione.
L’omesso versamento delle ritenute, per un importo superiore a 10.000 euro annui, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a 1.032 euro (sanzione penale)»; «l’omesso versamento per un importo fino a 10.000 euro annui è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 50.000 euro (sanzione amministrativa espressione della depenalizzazione)».
Gli accertamenti in tali situazioni saranno sempre annuali, infatti l’INPS ha precisato che qualora nel corso di un anno, l’omissione del pagamento delle ritenute previdenziali superi l’importo di 10 mila euro nonostante l’illecito assuma rilevanza penale, deve necessariamente attendersi la fine dell’annualità dì riferimento, quale termine utile procedere alla configurazione piena e certa del reato.
In ambedue le situazioni, con l’atto con il quale viene effettuata la notifica dell’avvenuto accertamento della violazione è assegnato al datore di lavoro il termine di tre mesi per il versamento delle ritenute omesse. La regolarizzazione effettuata nei termini previsti costituisce causa di non punibilità. In sostanza la violazione non è punita se, entro tre mesi dalla contestazione o notifica di accertamento, si procede al versamento del dovuto.
Nel caso di lavoro nero ossia l’impiego di lavoratori che non risulti da scritture o da altra documentazione obbligatoria è punito, per ciascun lavoratore in nero, con l’applicazione di sanzioni civili e sanzioni amministrative. Le sanzioni civili sono quelle connesse al mancato versamento dei contributi che per quanto detto in precedenza prende il nome di evasione contributiva. Le sanzioni civili sono quelle già trattate in tema di evasione: sanzione del 30% dei contributi per giorno di ritardo fino al 60% dei contributi omessi.
Le sanzioni amministrative fanno riferimento all’aspetto contrattuale del rapporto di lavoro in nero: si tratta della sanzione amministrativa prevista nel caso di impiego di lavoratori subordinati senza la preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro.
Si ricorda che nel caso di lavoro in nero trova applicazione anche la cosiddetta maxi sanzione , che consiste nella sanzione pecuniaria da 1500 a 36000 euro, più maggiorazione del 20% in caso di impiego di minori o stranieri irregolari.
Una integrativa riflessione può essere generata con riferimento alla prescrizione contributiva. Il mancato versamento dei contributi provoca l’estinzione per prescrizione dell’obbligo contributivo solo qualora trascorso il tempo previsto dalla legge. Il compiersi della prescrizione comporta che l’ente previdenziale non possa più esercitare il suo diritto-dovere di riscuotere i contributi. In base alla legge di riferimento n. 335/1995 art 3, commi 9 e 10, la prescrizione dei contributi si verifica: nel termine ordinario di 10 anni per i contributi del Fondo Pensioni lavoratori dipendenti (IVS) e delle altre gestioni pensionistiche obbligatorie, ridotto a 5 anni dal 1° gennaio 1996, savo i casi di denuncia del lavoratore del lavoratore o dei superstiti all’inps od all’ispettorato del lavoro (10 anni). Venendo meno la distinzione ferrea tra tutela reale ed obbligatoria,la prescrizione dei contributi sia per le aziende con più di 15 dipendenti che al di sotto, si può ritenere che decorra per entrambi, dalla cessazione del rapporto di lavoro, a valere per i 5 o 10 anni a ritroso dalla cessazione. Non più come in precedenza, per cui in tutela obbligatoria alla sola cessazione; in corso di rapporto per la tutela reale.