Nuovi voucher, le trappole nascoste in una normativa imprecisa 

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La nuova disciplina delle prestazioni occasionali, chiamata a rimpiazzare almeno in parte il vuoto creatosi con l’abrogazione dei voucher, contiene un equivoco di fondo che potrebbe complicare ulteriormente la gestione di strumenti che già nascono con regole molto difficili da applicare.L’equivoco riguarda la nozione di occasionalità, che viene associata sia alle prestazioni che possono essere rese con il “libretto di famiglia” (lo strumento destinato alle persone fisiche per alcune specifiche attività), sia a quelle che si possono svolgere con il “contratto di prestazione occasionale (la fattispecie utilizzabile dalle imprese che non hanno più di 5 dipendenti a tempo indeterminato).

L’equivoco riguarda il significato da attribuire all’aggettivo “occasionale”: affinché la prestazione possa essere considerata tale è sufficiente che le prestazioni rese con i nuovi strumenti siano contenute entro i numerosi limiti fissati dalla legge, oppure deve esserci qualcosa in più (l’occasionalità, appunto, della prestazione) a prescindere dal rispetto dei limiti quantitativi e soggettivi?

La legge non brilla per chiarezza sul punto.

Leggendo la definizione generale di prestazione occasionale, contenuta al comma 1 dell’art. 54 bis della legge n. 96/2017, la risposta sembrerebbe facile: secondo la norma, si considerano come occasionali tutte le prestazioni rese entro certi limiti di compenso (5 mila euro nell’anno civile per ciascun prestatore, con riferimento alla totalità degli utilizzatori, e per ciascun utilizzatore, con riferimento alla totalità dei prestatori, e 2500 euro per singolo prestatore), quindi a prescindere da qualsiasi ulteriore verifica in merito alla natura della prestazione svolta.

Questa interpretazione trova conferma nella disciplina del Libretto di famiglia, con un’aggiunta importante: ai fini dell’occasionalità è necessario, oltre al rispetto dei limiti oggettivi, che le prestazioni rientrino in alcune categorie specifiche (piccoli lavori domestici, compresi lavori di giardinaggio, di pulizia o di manutenzione, assistenza domiciliare ai bambini e alle persone anziane, insegnamento privato).

Per il libretto di famiglia, quindi, il legislatore indica con chiarezza cosa si può considerare occasionale e cosa no, riducendo i possibili equivoci sul punto.

La questione è meno chiara rispetto al “contratto di prestazione occasionale”, lo strumento riservato ai datori di lavoro che non superano i 5 dipendenti a tempo indeterminato.

Il comma 13 della nuova disciplina definisco la fattispecie come il contratto mediante il quale un utilizzatore acquisisce, con modalità semplificate, “prestazioni di lavoro occasionali o saltuarie di ridotta entità”.

Nella definizione compare la nozione di prestazioni “saltuarie di ridotta entità”, che fa sorgere un grosso dubbio: si parla della stessa fattispecie disciplinata dal comma 1, oppure viene introdotto anche un requisito “qualitativo” che deve caratterizzare le prestazioni, cioè la loro occasionalità o saltuarietà?

Il regime sanzionatorio introdotto dalla norma punisce solo la violazione dei limiti oggettivi e di durata previsti, mente nulla dice in merito alla mancanza di occasionalità della prestazione.

Questa considerazione non basta a rimuovere del tutto il rischio che una normativa imprecisa e farraginosa favorisca interpretazioni produttive di contenziosi dall’esito mprevedibile.

 

 

 

 (Giampiero Falasca Il Sole 24 Ore 18 luglio 2017)

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