La prescrizione quinquennale dei crediti retributivi: cosa cambia senza la tutela reale “piena”

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Filippo Chiappi

La legge Fornero è intervenuta novellando l’articolo 18 della legge n. 300/70: nella sostanza non è più individuabile una netta distinzione tra tutela reale (forte) e tutela obbligatoria (debole). L’articolo 18, di cui alla legge n. 92/2012, prevede la “reintegra”, nel caso in cui a livello disciplinare il fatto non esista ovvero qualora esistente la contrattazione collettiva di riferimento preveda una sanzione minore e conservativa, tal che da ritenere giudizialmente illegittimo il licenziamento irrogato. La “non reintegra”, viceversa, è relegata alla sola fattispecie del fatto esistente ma tale da non legittimare l’atto espulsivo. Nel caso del licenziamento di natura oggettiva, ove i motivi sussistano ma non sono in grado di sorreggere il licenziamento, non viene prevista la reintegra, viceversa suggellata e garantita laddove il motivo economico sia completamente insussistente.

Situazione differente rispetto alla situazione ante Fornero, dove per le aziende in tutela reale, vi era la sola, unica, e forte reintegrazione. Premesse tale considerazioni, prima della riforma Fornero essendo il lavoratore in tutela reale garantito in modo completo in costanza di rapporto rispetto alla illegittimità del licenziamento, lo stesso poteva quindi non temere (metus) l’illegittimità dell’atto di recesso (durante il rapporto) ed esercitare i propri diritti durante il “negozio”. Per cui, la prescrizione quinquennale dei crediti retributivi decorreva in costanza di rapporto e necessitava di atti interruttivi. Fermo restando che a cessazione del rapporto permaneva la prescrizione quinquennale a ritroso che non contemplava, però, tutta la durata del rapporto di lavoro. Per le aziende in tutela obbligatoria, essendo per il licenziamento illegittimo esclusa la reintegra, la prescrizione dei crediti retributivi decorreva dalla cessazione del rapporto di lavoro ed entro cinque anni dalla cessazione medesima: a valere, però, su tutto il periodo negoziale. Proprio perchè il lavoratore in costanza di rapporto non aveva la tranquillità, avendo timore del licenziamento illegittimo e della possibilità di esercitare i propri diritti in itinere negoziale.

Infatti, la giurisprudenza ha decretato nel tempo un orientamento stabile e strutturato: nelle aziende che occupavano più di 15 dipendenti, soggette alla tutela reale,  la prescrizione per crediti di lavoro correva anche in corso di rapporto. Ciò significava, ad esempio, che innanzi ad retribuzione non erogata, doveva essere reclamata dal lavoratore entro cinque anni dalla maturazione del diritto; oltre detto termine perentorio, il datore di lavoro avrebbe potuto eccepire la prescrizione del debito.  Asimmetrico lo scenario nelle aziende di minori dimensioni: in questi casi per la giurisprudenza maggioritaria, la prescrizione rimaneva sospesa per l’intera durata del rapporto. Il lavoratore avrebbe potuto chiedere il pagamento della retribuzione non pagata, anche a distanza di decenni, al momento della cessazione del rapporto per pensionamento o per altre motivazioni.

Dopo la riforma Fornero è venuta meno tale rigida distinzione ed essendo prevista la non reintegra anche nella tutela reale per determinate situazioni di licenziamento illegittimo, si è persa la possibilità per il lavoratore di esercitare tranquillamente i propri diritti in costanza di rapporto. Pertanto, la prescrizione quinquennale decorrerà per effetto della legge n. 92/2012, sempre dalla cessazione del rapporto di lavoro ed a valere sull’intero periodo lavorativo. Situazione ancora più conclamata dal Jobs Act che ha annullato definitivamente il confine tra tutela reale ed obbligatoria prevedendo in larga misura una indennità risarcitoria, relegando al cantuccio la reintegra. Potendo, quindi ritenere, che il lavoratore di un’azienda con più di 15 dipendenti, nel rispetto del termine prescrizionale quinquennale post cessazione, a fronte anche della non necessaria attività interruttiva della prescrizione in costanza di rapporto, possa richiedere e rivendicare tutte le spettanze eventualmente maturate in costanza di rapporto, cosi come lo era per la vecchia tutela obbligatoria.

Il Giudice del Tribunale di Milano nella sentenza del 12 aprile u.s., ha ritenuto che  il timore (metus) del lavoratore è presente e vivo anche nelle aziende di grandi dimensioni poiché, anche in questi casi, non è più blindata la reintegrazione, in presenza di licenziamento illegittimo. Pertanto, il Tribunale di Milano è pervenuto alla concettualizzazione che la prescrizione quinquennale può considerarsi decorsa, durante il rapporto di lavoro (necessitando di atti interruttivi), soltanto fino all’entrata in vigore della «Riforma Fornero», avvenuta il 18 luglio 2012, restando sospesa o meglio sterilizzata da quel momento in avanti.  La sentenza si sovrappone in modo limpido ad analoghi precedenti del Tribunale di Milano 2016 e di Torino 2016. E’ opportuno per dovizia di cronaca dottrinale citare  pronunce di segno contrario: Tribunale di Milano 2014; Tribunale di Bergamo 2016. Ciò ovviamente lancerà l’assist, ad un intervento dirimente della Cassazione.

Una parallela riflessione può essere generata con riferimento alla prescrizione contributiva. Il mancato versamento dei contributi provoca l’estinzione per prescrizione dell’obbligo contributivo solo qualora trascorso il tempo previsto dalla legge. Il compiersi della prescrizione comporta che l’ente previdenziale non possa più esercitare il suo diritto-dovere di riscuotere i contributi. In base alla legge di riferimento n. 335/1995 art 3, commi 9 e 10, la prescrizione dei contributi si verifica: nel termine ordinario di 10 anni per i contributi del Fondo Pensioni lavoratori dipendenti (IVS) e delle altre gestioni pensionistiche obbligatorie, ridotto a 5 anni dal 1° gennaio 1996, savo i casi di denuncia del lavoratore del lavoratore o dei superstiti all’inps od all’ispettorato del lavoro (10 anni).  Venendo meno la distinzione ferrea tra tutela reale ed obbligatoria,la prescrizione dei contributi sia per le aziende con più di 15 dipendenti che al di sotto, si può ritenere che decorra per entrambi, dalla cessazione del rapporto di lavoro, a valere per i 5 o 10 anni a ritroso dalla cessazione. Non più come in precedenza, per cui in tutela obbligatoria alla sola cessazione; in corso di rapporto per la tutela reale.

Sullo sfondo, lo scenario più limpido del pubblico impiego. Dopo mesi di discussioni, non solo tra gli addetti ai lavori, è arrivato il primo chiarimento normativo sul regime di tutela applicabile ai dipendenti pubblici in caso di licenziamento illegittimo: la sentenza della Cassazione n. 11868/2016 e recepita dal governo nello schema di di decreto legislativo di riforma del pubblico impiego (art. 21) attuativo della legge delega Madia (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 187 del 13 agosto 2015, Legge 124/2015 recante “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, meglio conosciuta come Legge Madia di Riforma della PA. Il provvedimento contiene 14 importanti deleghe legislative) fa si che resti confermata la reintegra pre legge Fornero per tutti i casi di recesso ingiustificato.

Ma nello schema legislativo, all’art 21,  vi è una novità sul fronte dei risarcimenti, con l’introduzione di un tetto di 24 mesi agli indennizzi a favore dei lavoratori riammessi in ufficio. La differenza rispetto alla situazione nel pubblico impiego e che oggi in caso di licenziamento illegittimo, oltre alla tutela reale, l’interessato ha diritto a un ristoro economico pressoché illimitato che copre il periodo che è stato espulso dall’ufficio fino al suo effettivo ritorno. Da domani, il risarcimento verrà limitato  a 24 mesi. Anche nel recentissimo parere n. 916/2017 del Consiglio di Stato viene ribadita la condivisione dell’operato del Governo sul riordino del rapporto del pubblico impiego, attraverso lo schema del decreto delegato. In buona sostanza si ribadisce l’obbligo di reintegra per il dipendente pubblico licenziato ingiustamente. Per gli statali infatti il semplice indennizzo economico non basta a tutelare gli interessi collettivi lesi da atti illegittimi di rimozione. L’art. 18 dello Statuto dei lavoratori dovrà continuarsi ad applicare nel suo testo originario ante Fornero. Pertanto, il termine di prescrizione dei crediti retributivi relativi ad un rapporto di lavoro con la P.A., per tutte le pretese riconosciute ai pubblici dipendenti che hanno natura retributiva, è quinquennale e decorre in costanza del rapporto stesso (necessita di atti interruttivi), anche se questo abbia carattere provvisorio o temporaneo, in quanto non è sostenibile, per la natura del rapporto, che il dipendente pubblico possa essere esposto a “possibili ritorsioni e rappresaglie” quando egli tuteli in via giudiziale i propri diritti ed interessi.

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