Specificità estrinseca dei motivi di appello: l’intervento delle Sezioni Unite Penali

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Veronica Bertocci

 

Con la sentenza n. 8825 del 2017 (udienza del 27/10/2016) le Sezioni Unite Penali hanno risolto il contrasto esistente in giurisprudenza affermando la necessità della cosiddetta specificità estrinseca dei motivi di appello, cioè della necessaria correlazione tra i motivi di appello e le ragioni di fatto o di diritto su cui si basa la sentenza impugnata.

Le Sezioni Unite hanno statuito il seguente principio di diritto: “L’appello (al pari del ricorso per cassazione) è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della sentenza impugnata“.

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Nella vicenda oggetto del procedimento penale che si è concluso con la suddetta pronuncia, l’imputato veniva condannato per il reato di furto aggravato alla pena di tre mesi di reclusione. Con l’atto di appello la difesa dell’imputato lamentava che il Tribunale, nella quantificazione della pena, avesse posto come pena-base una condanna elevata, secondo i criteri di cui all’art. 133 c.p., ed eccessiva in considerazione delle modalità del fatto. La Corte d’Appello di Bologna dichiarava l’appello dell’imputato inammissibile poiché le richieste risultavano “palesemente deficitarie” sia con riferimento agli elementi oggettivi di valutazione, sia per assenza di profili di criticità. La difesa ricorreva per Cassazione evidenziando, in buona sostanza, che poiché la stessa aveva lamentato l’eccessività della pena nonostante la derubricazione del reato e la mancata concessione delle attenuanti generiche in regime di prevalenza sulle aggravanti, non era necessaria “una esposizione lunga, prolissa e maggiormente specifica“.

La questione di diritto per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite è la seguente: “Se, e a quali condizioni e limiti, il difetto di specificità dei motivi di appello comporti l’inammissibilità dell’impugnazione“.

Il problema di cui si discute – si legge nelle motivazioni della sentenza – “concerne uno dei più delicati snodi dell’intero sistema processuale penale, perché concerne l’ampiezza del “filtro” costituito dalla declaratoria di inammissibilità delle impugnazioni, previsto dall’art. 591, comma 2, c.p.p.; declaratoria che il giudice deve emettere, tra l’altro, qualora l’atto impugnatorio difetti di uno dei requisiti individuati dall’art. 581 dello stesso codice“.

Gli orientamenti giurisprudenziali che hanno condotto le Sezioni Unite a risolvere il contrasto possono così riassumersi:

  • un primo indirizzo (Cass. Pen., sez. VI, n. 3721 del 2016; Cass. Pen., sez. I, n. 12066 del 05/10/1992, Makram; Cass. Pen., sez. VI, n. 18746 del 21/01/2014, Raiani, Rv.261094), afferma la necessità di valutare il requisito della specificità dei motivi di appello in termini meno  stringenti e comunque diversi rispetto al corrispondente scrutinio dei motivi di ricorso per Cassazione, talora limitandosi a richiamare il principio del favor impugnationis, in altre occasioni valorizzando anche la diversa struttura del giudizio di appello rispetto a quello di legittimità, con particolare riferimento alla differente funzione rispettivamente svolta, dai motivi di ricorso, nell’individuazione dei poteri cognitivi e decisori del giudice dell’impugnazione.

Le sentenze che sono espressione di tale indirizzo non negano la necessità di valutare con rigore la c.d. “genericità intrinseca” dei motivi, ritenendo inammissibili gli appelli fondati su considerazioni generiche o astratte, o comunque non pertinenti al caso concreto, ovvero su generiche doglianze concernenti l’entità della pena a fronte di sanzioni sostanzialmente coincidenti con il minimo edittale.

Il segnalato contrasto ha, dunque, per oggetto la sola c.d. “genericità estrinseca” dei motivi di appello, ovvero la mancanza di correlazione fra questi e le ragioni di fatto o di diritto su cui si basa la sentenza impugnata.

Bisogna, in sostanza, valutare l’atto di appello nel suo complesso, al fine di apprezzarne la completezza e quindi l’idoneità a dare impulso al successivo grado di giudizio, e si esclude che l’inammissibilità possa discendere dal fatto che le censure, riproposte con i motivi di appello, siano state già esaminate e confutate dal giudice di primo grado.

  • un secondo orientamento (Cass. Pen., sez. VI, n. 13621 del 06/02/2003, Valle, Rv. 227194; Cass. Pen., sez. III, n. 12355 del 07/01/2014, Palermo, Rv. 259742; Cass. Pen., sez. VI, n. 2345 del 18/12/2015, dep. 2016, Carpiceci; Cass. Pen., sez. VII, n. 17461 del 03/07/2015, dep. 2016,Pantano; Cass. Pen., sez. V, n. 39210 del 29/05/2015, Jovanovic, Rv. 264686), più restrittivo, afferma invece la sostanziale omogeneità della valutazione della specificità estrinseca dei motivi di appello e dei motivi di ricorso per cassazione.

Una prima ragione alla base della piena equiparazione tra appello e ricorso per cassazione, quanto alla specificità dei motivi di censura, è stata individuata nella natura del giudizio di appello, che non costituisce un “nuovo giudizio”, ma “uno strumento di controllo o, rectius, di censura, su specifici punti e per specifiche ragioni, della decisione impugnata“; con la conseguenza che l’impugnazione deve “esplicarsi attraverso una critica specifica, mirata e necessariamente puntuale della decisione impugnata e da essa deve trarre gli spazi argomentativi della domanda di una decisione corretta in diritto ed in fatto”

Le esigenze di specificità dei motivi non sono, dunque, attenuate in appello, pur essendo l’oggetto del giudizio esteso alla rivalutazione del fatto.

Poiché l’appello è un’impugnazione devolutiva, tale rivalutazione può e deve avvenire nei rigorosi limiti di quanto la parte appellante ha legittimamente sottoposto al giudice d’appello con i motivi d’impugnazione, che servono sia a circoscrivere l’ambito dei poteri del giudice stesso sia a evitare le iniziative meramente dilatorie che pregiudicano il corretto utilizzo delle risorse giudiziarie, limitate e preziose, e la realizzazione del principio della ragionevole durata del processo, sancito dall’art. 111, secondo comma, della Costituzione.

Le Sezioni Unite hanno aderito al secondo orientamento, perché assimila sostanzialmente l’appello e il ricorso per cassazione, ricostruendo correttamente l’ambito e la portata degli artt. 581 e 591 c.p.p., dai quali emerge che, tra i requisiti di ammissibilità dell’appello, rientrano anche l’enunciazione e l’argomentazione di rilievi critici relativi alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della sentenza impugnata.

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