Riccardo Maraga
La responsabilità solidale negli appalti tra referendum e Parlamento
Come noto uno dei due quesiti referendari proposti dalla Cgil, che la Consulta ha ritenuto ammissibile, riguarda l’art. 29, comma 2, del d.lgs. n. 276/2003 relativo alla tutela dei lavoratori coinvolti in appalti.
Ma andiamo per ordine.
La legge Biagi, nella sua formulazione originaria, si era posta il tema di tutelare i lavoratori che operano alle dipendenze di società che si aggiudicano appalti.
E’ evidente che, solitamente, la solidità e la solvibilità delle società che si aggiudicano un appalto è molto inferiore rispetto a quella della società committente.
Per questa ragione il comma 2 dell’art. 29 del d.lgs. n. 276/2003 disponeva che “In caso di appalto di servizi il committente imprenditore o datore di lavoro e’ obbligato in solido con l’appaltatore, entro il limite di un anno dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti”.
La norma appariva estremamente chiara ed asciutta.
Successivamente, il capoverso dell’art. 29 ha subito diversi rimaneggiamenti. In particolare sono intervenuti sul testo:
Il d.lgs. 6 ottobre 2004, n. 251: La l. 27 dicembre 2006, n. 296; Il d.l. 9 febbraio 2012, n. 5, convertito con modificazioni dalla l. 4 aprile 2012, n. 35; La l. 28 giugno 2012, n. 92; Il d.l. 28 giugno 2013, n. 76, convertito con modificazioni dalla l. 9 agosto 2013, n. 99; Il d.lgs. 21 novembre 2014, n. 175.
All’esito di questa infinita serie di rimodulazioni, l’innovazione più significativa è rappresentata dall’introduzione del principio del c.d. beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell’appaltatore.
In sostanza, mentre nella formulazione originaria, il lavoratore o gli istituti previdenziali potevano rivolgersi indifferentemente all’appaltatore o al committente per vedersi pagati i trattamenti retributivi e contributivi, con l’introduzione della preventiva escussione il legislatore ha disposto una sorta di “cronologia” da rispettare.
Infatti, nell’attuale versione, il lavoratore o l’ente previdenziale possono agire sia verso l’appaltatore che verso il committente ma quest’ultimo, nella prima difesa, può eccepire il beneficio della preventiva escussione e cioè, in concreto, può chiedere che in prima istanza si cerchi di soddisfare il credito nei confronti dell’appaltatore e, solo in caso di insolvenza di questo, si torni dal committente.
La Cgil, nel quesito proposto, mira a scardinare questo principio e, di fatto, a tornare alla formulazione originaria della legge Biagi.
In questo contesto si inserisce anche una iniziativa parlamentare degli onorevoli Damiano e Gnecchi (Proposta di legge C. 4211 presentata il 10.01.2017).
Il ddl Damiano prevede che, in caso di appalto, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell’inadempimento.
Nel ddl Damiano, dunque, sparisce il beneficio della preventiva escussione, in linea con quanto invocato dalla Cgil. Nella proposta di legge torna anche il riferimento alla contrattazione collettiva, assente nella formulazione originaria della Biagi e introdotta nelle riforme successive, alla quale, tuttavia, è demandata non una facoltà di modifica in pejus delle condizioni ma solo in melius.
La proposta prevede, inoltre, una sorta di sanzione “accessoria” per chi disattende le previsioni della norma, ossia, l’esclusione dalle gare di appalto indette dalle amministrazioni pubbliche.
Appare assolutamente improbabile che il ddl riesca a disinnescare il referendum, visti anche i lunghi tempi di discussione ed approvazione del relativo testo.
Quel che è certo è che sembra registrarsi una sorta di ritorno alla legge Biagi che tanti, per anni, hanno ritenuto una legge scarsamente attenta alla tutela dei lavoratori e che, invece, oggi, confrontandola con la normativa successiva, appare dotata di doti di chiarezza, semplicità e coerenza difficilmente riscontrabili nelle leggi di riforma successive.