Filippo Chiappi
n merito alla diffusione dello strumento dei voucher, introdotto dalla legge Biagi nel 2003 per far emergere il sommerso – la legge Fornero nel 2012 ha esteso l’utilizzo a tutti i settori produttivi e il ministro Giovannini del governo Letta nel 2013 ha fatto venire meno il riferimento alla natura occasionale delle prestazioni -, secondo i dati Inps tra gennaio e ottobre 2016 sono stati venduti 121,5 milioni di buoni lavoro da 10 euro lordi (7,5 euro sono corrisposti al lavoratore, il resto copre le prestazioni sociali-previdenziali e il costo del servizio), che rappresentano un incremento del 32,3% rispetto ai 91,8 milioni di voucher venduti nello stesso periodo del 2015, che a loro volta erano in crescita del 67,6% sul 2014. Questi grandi numeri equivalgono all’incirca a 70mila lavoratori full time.
Questo incremento ha sollevato parecchie critiche perché è stato giudicato un tentativo di rendere il mercato del lavoro sempre più precario e deregolamentato a scapito dei lavoratori. Secondo alcuni analisti e secondo il sindacato, infatti, molti datori di lavoro usano i voucher per retribuire una parte delle ore di lavoro svolte, pagando in nero il resto delle ore. In questo modo i datori di lavoro si sottrarrebbero ai controlli e alle sanzioni. Dalla sinistra Pd e dai sindacati – sia pure con differenti posizioni – arriva il pressing al governo, affinché intervenga. Il primo referendum presentato dalla Cgil riguarda l’abolizione dei cosiddetti voucher, ossia la retribuzione del lavoro accessorio attraverso dei buoni. Nel quesito referendario sarà chiesto agli elettori: “Volete l’abrogazione degli articoli 48, 49 e 50 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, recante Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’art. 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183?”.
Il pagamento attraverso i voucher in alcuni tipi di lavori era stato introdotto già nel 2003 per far emergere dall’irregolarità alcune forme di lavoro occasionale come le ripetizioni o le pulizie, ma negli anni ne è stato legittimato l’uso per quasi tutti i tipi di lavoro. Il jobs act ha esteso da cinquemila a settemila euro la cifra netta che è possibile guadagnare in un anno con i voucher. Questo fattore, insieme ad altre misure del jobs act che hanno ridotto altre forme di lavoro precario, ha determinato un aumento dell’uso dei voucher da parte dei datori di lavoro. Il presidente dell’Anpal, Maurizio Del Conte, parlando al Corriere della sera si è espresso a favore dell’esclusione dei voucher per alcuni settori come l’edilizia, per evitare che possano essere utilizzati in sostituzione di contratti più stabili, ma contro l’abrogazione.
Ma sul tema, l’affondo arriva dalla Camera dove in commissione Lavoro sono state presentate cinque proposte di legge che vanno per la maggior parte dei casi in direzione di una stretta sull’utilizzo dei voucher. Tra queste, una proposta è stata presentata dal presidente della commissione, Cesare Damiano (Pd), che ha raccolto 45 firme di deputati Pd: «La tracciabilità non basta – sostiene Damiano -. Chiediamo di tornare alla legge Biagi che limitava il campo d’applicazione alle prestazioni accessorie e occasionali come i piccoli lavori domestici, l’assistenza domiciliare, la pulizia di edifici e monumenti, il giardinaggio, le ripetizioni, con riferimento ad una platea limitata di disoccupati di lunga durata, casalinghe, studenti, pensionati e disabili». L’11 gennaio in commissione Lavoro della Camera riprenderà l’esame della proposta Damiano che annuncia: «Daremo battaglia sui voucher». Ma, a parte tutto ciò, sui voucher non si profila alcun nuovo intervento del governo, almeno nell’immediato. Come ha spiegato il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, si è in attesa di conoscere gli effetti dell’introduzione della tracciabilità sull’utilizzo dei buoni lavoro – operativa dallo scorso 8 ottobre, con l’entrata in vigore del decreto correttivo al Jobs act – insieme ai risultati dell’attività ispettiva mirata che è stata intensificata negli ultimi mesi, prima di prendere qualsiasi decisione in merito. Resta poi da vedere cosa deciderà la Consulta che l’11 gennaio si pronuncerà sull’ammissibilità dei tre quesiti referendari proposti dalla Cgil, che contengono anche la richiesta di abrogare i voucher.
Per quanto su esposto, è opportuna un’analsi più fredda e distaccata di un fenomeno che sta vivevendo molta demagogia. Innanzitutto in tema di voucher è opportuno distingure tra abuso ed uso. C’è una grande confusione in merito a questi due concetti, Sul tema dell’uso mediante un semplice calcolo matematico, la gran massa dei voucher utilizzati corrispondono a 70.000 posizioni full time equivalent, cioè persone impiegate a tempo pieno. E’ un buon numero di occupabilità da non minimizzare. Le regole sull’uso ci sono e sono chiarissime. Ripercorriamone la storia.
Come detto, con la legge 92/2012 (cd. Legge Fornero) il lavoro accessorio ha perso ogni riferimento al concetto di occasionalità. Il lavoro accessorio è tale se osserva solo limiti economici. Aspetto importante è che se un lavoratore è subordinato presso un datore di lavoro, non può essere soggetto con lo stesso a voucher. Con la Legge Fornero, in sostanza si era legittimato come quelle di lavoro accessorio siano prestazioni che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori a 5 mila euro nel corso di un anno solare: ciò basta a rendere legittima l’attività di tipo occasionale da retribuire con il sistema dei buoni-lavoro. E’ necessario che le prestazioni di lavoro vengano retribuite nel limite di 5 mila euro nell’anno solare, quale limite valido con riferimento al singolo lavoratore prescindendo dal numero dei committenti. Solo se il committente è un’impresa od un professionista, accanto al limite di 5 mila euro – con la totalità dei committenti – occorre soddisfare un ulteriore limite: sempre con riferimento all’anno solare non si può andare oltre i 2 mila euro di voucher a favore del singolo committente, cioè del professionista o dell’azienda. In definitiva, i soli limiti quantitativi dei voucher, ad oggi sono gli unici elementi di qualificazione del lavoro accessorio. Se rispettati garantiscono la legittimità delle prestazioni. Viceversa, quando vengono superati, si determina la violazione della disciplina normativa, cui non può che seguire, secondo una circolare del Ministero del lavoro del 2013, una trasformazione del rapporto di lavoro in quella che costituisce la forma comune del rapporto di lavoro, ossia in rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato. Ciò almeno con riferimento ai casi in cui le prestazioni siano rese nei confronti di impresa o professionisti e risultino funzionali all’attività di impresa o professionale.
Il Dlgs n. 81/2015, quale nuovo decreto legislativo di riordino dei contratti è intervenuto in modo estremamente chirurgico. Innalzamento da 5000 mila euro a 7000 euro netti (9333 euro lordi) del corrispettivo massimo, in capo al singolo lavoratore, con riferimento alla totalità dei committenti, nel corso dell’anno civile e non solare. In sostanza, le nuove disposizioni hanno confermato che, fermo restando il nuovo limite di 7000 mila euro netti nei confronti della totalità dei committenti imprenditori o professionisti, le attività lavorative possono essere svolte a favore di ciascun committente per compensi non superiori ad € 2000 (2667 lordi). Altra novità molto importante, era costituita dal fatto che è stata resa strutturale (a tempo indeterminato) la possibilità di rendere prestazioni di lavoro accessorio in tutti i settori produttivi, compresi gli enti locali, nel limite complessivo di 3000 euro di corrispettivo per anno civile, da parte di percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito. Al superamento dei 3000 euro sono previste delle decurtazioni percentuali delle prestazioni medesime. Altro elemento innovativo, è costituito dal fatto che per i soli committenti imprenditori o professionisti, che intendono ricorrere a prestazioni di lavoro accessorio, devono acquistare, esclusivamente attraverso modalità telematiche Inps, uno o più carnet di buoni orari, numerati progressivamente e datati, il cui valore nominale orario è fissato in € 10,00. E’ stata prevista nel corso del 2016 la possibilità di acquisizione anche attraverso i tabaccai che aderiscono alla convenzione Inps. Restano ferme le acquisizioni attraverso le banche abilitate. Mentre i committenti non imprenditori o non professionisti, quindi semplici privati, possono acquistare buoni anche presso le rivendite autorizzate, uffici postali. Veniva disposto che i committenti, ma soltanto se imprenditori o professionisti, che intendano ricorrere a prestazioni di tipo accessorio sono tenuti, prima dell’inizio della prestazione a comunicare alla DTL competente, attraverso modalità telematiche (compresi sms, posta elettronica), i dati anagrafici ed il codice fiscale del lavoratore indicando altresì il luogo della prestazione con riferimento ad un arco temporale non superiore ai 30 giorni successivi. D’altro canto il nuovo obbligo di comunicazione delineato dal D.Lgs. n. 81/2015 non è mai divenuto operativo in un anno di vigenza della norma, così il Ministero del lavoro, con nota n. 3337 del 25 giugno 2015, si era affrettato a chiarire che, al fine dei necessari approfondimenti in ordine all’attuazione dell’obbligo di legge e nelle more della attivazione delle relative procedure telematiche, la comunicazione venisse effettuata secondo le procedure di cui alla circolare Inps n. 177/2013. Pertanto, in via transitoria, nelle more dell’attivazione delle procedure verso la DTL, la comunicazione preventiva permaneva verso l’Inps. Per gli altri committenti, restava il vecchio sistema comunicativo ove prima di dare inizio alla prestazione, effettuavano una comunicazione all’inps (portale, contact center..) indicando i dati anagrafici ed il codice fiscale propri e del lavoratore, il luogo dove si svolge l’attività lavorativa ed il periodo di durata presunto. Ancora, al fine di evitare fenomeni di dumping in un mercato fragile qual è il mercato degli appalti, il Dlgs. n. 81/2015 introduceva il divieto di ricorso a prestazioni di lavoro accessorio nell’ambito della esecuzione di appalti di opere o servizi, fatte salve specifiche ipotesi da individuare con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sentite le parti sociali, da adottare entro sei mesi dall’entrata in vigore del presente decreto.
I voucher, nel tempo, così strutturati stavano sempre più delineando un grave rischio: denominato anche anche attualemnte come “ABUSO”. Uno strumento che invece di far emergere il lavoro nero sempre più veniva utilizzato per coprirlo. Molti datori di lavoro attivavano il buono solo quando scattavano i controlli ispettivi in modo che il lavoratore risultasse in regola. Oppure retribuivano il lavoratore con un solo buono al giorno mentre le restanti ore del giorno erano completamente in nero. Ora, con il decreto legislativo n. 185/2016 correttivo del Jobs Act, il Governo ha maggiormene regolamentato l’uso del voucher eliminando la potenzialità dell’abuso, aspetto che molti in questi giorni dimenticano, utilizzando parametri concettuali effettivamenti falsi e demagogici.
Il governo cerca di bloccare questo pericoloso escatomage introdudendo uno stringente obbligo di comunicazione preventiva. In buona sostanza, in chiave “anti abusi”, si è voluto rendere pienamente tracciabili i buoni lavoro utilizzati per prestazioni di lavoro accessorio attraverso l’obbligo di comunicazione preventiva che, nel caso non venisse rispettato, prevede una sanzione amministrativa da 400 a 2.400 euro per ciascun lavoratore per cui è stata omessa la comunicazione. Pertanto, i committenti imprenditori non agricoli o professionisti che ricorrono ai voucher sono tenuti, almeno 60 minuti prima dell’inizio della prestazione lavorativa, a comunicare alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro (nuovo termine che assumeranno le DTL per effetto del Dlgs 149/2015 di riordino del mondo ispettivo), mediante sms o posta elettronica, i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, il luogo, il giorno e l’ora di inizio e di fine della prestazione. Tali soggetti sarebbero tenuti a comunicare quotidianamente, almeno un’ora prima, ciascuna giornata in cui viene svolta anche soltanto un’ora di lavoro accessorio. Viene superata la vecchia comunicazione all’Inps lasciando il posto a sms o posta elettronica fermo restando che il Ministero si riserva la facoltà di individuare modalità telematiche diverse. I committenti imprenditori agricoli, invece, hanno fino a 3 giorni di tempo per comunicare, nello stesso termine e con le stesse modalità, i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, il luogo e la durata della prestazione. La disciplina menzionata non si applica al lavoro domestico, alle famiglie, quando cioè il datore di lavoro non ha la partita iva: in questo caso restano in vigore le vecchie regole che prevedono un obbligo generico di comunicazione non oltre un mese prima dell’inizio della prestazione lavorativa. Sempre quale normativa ad hoc per il settore agricolo, cambieranno i limiti massimi di utilizzo dei voucher. Secondo la normativa vigente, i voucher possono essere utilizzati fino a 7000 euro netti per lavoratore rispetto alla totalità dei committenti. A quelli con partita Iva (imprese e professionisti) il limite diviene 2000 euro netti a favore di ciascun committente. La modifica del decreto correttivo prevede che questo secondo e minor limite (2000 euro) non opera nei confronti dei committenti agricoli: pertanto per i datori di lavoro agricoli il limite per ogni prestatore occupato è non 2000 euro ma 7000 euro.
L’Ispettorato nazionale del lavoro, con la circolare n. 1 del 17/10/2016 ha scelto una lettura rigida delle norme, richiedendo una doppia comunicazione. La prima deve essere fatta al momento dell’acquisito dei buoni. Il datore di lavoro che vuole utilizzare il lavoro accessorio, infatti, deve preventivamente comunicare, in via telematica, i dati essenziali del rapporto che sta per instaurare. Quale che sia la modalità di acquisto dei buoni (presso Inps o Poste, banche o tabaccai), la procedura inizia sempre sul sito Inps, nell’apposita sezione dedicata al lavoro accessorio, mediante l’inserimento del proprio codice Pin e delle informazioni sul rapporto: anagrafica e codice fiscale dei lavoratori, inizio e fine presunte dell’attività lavorativa, luogo della prestazione. Questa procedura deve essere completata prima dell’inizio dell’attività, ma si differenzia dalla comunicazione preventiva introdotta dal Dlgs 185/2016 per i soli committenti professionisti e imprenditori (con delle regole particolari per quelli agricoli). Quest’ultima comunicazione si somma alla denuncia Inps (rinforzata con la maxi sanzione dalla legge 183/2010) perché svolge una funzione diversa: serve a dare data certa al momento e luogo di svolgimento di ogni singola prestazione di lavoro accessorio. Quindi, i committenti sono tenuti, entro 60 minuti prima di ogni singola prestazione, a inviare una email alle sedi territoriali dell’Ispettorato del lavoro (utilizzando gli indirizzi indicati nella circolare 1/2016), indicando come oggetto il proprio codice fiscale e ragione sociale, e inserendo i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, il luogo della prestazione, il giorno e l’ora di inizio e di fine della prestazione. Questa operazione dovrà essere fatta prima di ciascuna prestazione di lavoro accessorio, ripetendo l’adempimento ogni volta che il lavoratore accessorio, terminata l’attività precedente, ne comincia una nuova. L’Ispettorato ricorda, inoltre, che la violazione dell’obbligo di comunicazione comporta l’applicazione della sanzione amministrativa da 400 a 2.400 euro, in relazione a ciascun lavoratore per cui è stata omessa la comunicazione; tuttavia, se alla mancata comunicazione preventiva si aggiunge anche la mancata dichiarazione di inizio attività all’Inps, si applica la maxi sanzione per lavoro nero, di entità ben più grave.
Pertanto, come è successo per il lavoro intermitente od a chiamata dopo picchi abnorni, nel 2012 con l’introduzione della comunicazione obbligatoria preventiva il grafico di utilizzo fece un picco al contrario, cioè di segno negativo. Quindi, è lecito attendersi e verificare, che per i voucher, l’introduzione di un ulteriore sistema regolatorio circa l’uso, delimiti e circoscrivi ancor di più il fantomatico “ABUSO”. Quindi, il concetto di abuso piuò essere sicuramente glissato o ridimensionato. Magari, si può intervenire sulla soglia dei 7000 euro annui, riducendone l’importo a 5000 o 4000 euro. Ma l’uso deve essere letto in termini positivi, in quanto se il voucher cresce in merito a servizi che oggi sono nel nero o nel grigio, è un fatto di grande successo sulla clandestinità negoziale.
Si potrebbe anche prospettare per una maggiore garanzia e trasparenza del mercato del lavoro affidare la gestione dei voucher alle Agenzie per il lavoro, Ovvero pensare di inserire il voucher o lavoro accessorio in un sistema contrattuale e negoziale formale della somministrazione di lavoro. Una sorta di prestazione a termine di natura accessoria, occasionale in regime di prestazione, la cui prestazione vede il corrispettivo materializzarisi nel voucher.
Per quanto sopra esposto, l’utilizzo del voucher comporterà numerose onerosità per il datore di lavoro, che depongono per un sano uso e per una minimizzazione dell’abuso:
1- l’obbligo/onere di acquisto del voucher;
2- l’obbligo di comunicare preventivamente alla Direzione Territoriale del lavoro la prestazione accessoria. La mancata comunicazione prevede sanzioni amministrative pesanti sino ad assurgerla alla maxi sansione prevista per il lavoro “nero”
3- Obbligo di verificare il mancato superamento del limite economico. Ad oggi sembra sufficiente la dichiarazione del prestatore che attesti il non superamento del tetto massimo e complessivo. Su questo non abbiamo conferma dalla giurispudenza. In specie, ci si riferisce ai compensi complessivamente percepiti dal prestatore che non possono superare, 7000 euro netti (9.333 euro lordi) nel corso di un anno civile (si intende per anno civile il periodo dal 1 gennaio al 31 dicembre di ogni anno), con riferimento alla totalità dei committenti.
4- L’Ente Previdenziale chiarisce che lo svolgimento di prestazioni di lavoro accessorio non dà diritto alle prestazioni a sostegno del reddito dell’INPS (disoccupazione, maternità, malattia, assegni familiari ecc.), ma è riconosciuto ai fini del diritto alla pensione.
5- L’introduzione di un adempimento burocratico come tale obbligo stringente e coercitivo di comunicazione preventiva dovrebbe scoraggiare gran parte degli usi fraudolenti dei voucher incentivandone l’uso legittimo. Tanto è vero che per il Ministro del Lavoro,Giuliano Poletti, si tratta di “un intervento importante, che il Governo ha voluto con forza per riaffermare l’importanza delle legalità nel lavoro, e di cui monitoreremo gli effetti: qualora non si ottenessero i risultati voluti interverremo ancora”, come si legge nel comunicato stampa diffuso a suo tempo sul sito del Ministero.