Appalti, niente responsabilità solidale per il committente pubblico 

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Verso le pubbliche amministrazioni non si applica il regime di responsabilità solidale per i crediti retributivi e contributivi che regola i rapporti tra committenti e appaltatori nell’ambito degli appalti di servizio.La Corte di Cassazione (sentenza n. 20327, depositata il 10 ottobre scorso), confermando una precedente pronuncia sullo stesso tema, esonera le amministrazioni pubbliche dai rischi connessi agli appalti di servizi, anche per i periodi antecedenti all’entrata in vigore del dl 76/2013 (che ha reso esplicito tale principio).

La legge (art. 29 del d.lgs. n. 276/2003, la riforma Biagi), stabilisce che i committenti di tali contratti rispondono, in solido con gli appaltatore, per i debiti retributivi e contributivi eventualmente maturati nei confronti del personale impiegato nell’esecuzione del servizio, per un periodo massimo di due anni dalla cessazione del contratto.

La responsabilità del committente ha natura oggettiva, nel senso che prescinde da una colpa o responsabilità, ma deriva dal semplice fatto di aver stipulato il contratto.

Questo regime, chiaramente finalizzato a stimolare atteggiamenti virtuosi dei committenti, si applica con certezze alle imprese private, mentre è discussa la sua vigenza verso le pubbliche amministrazioni, quanto meno fino alla riforma del 2013.

Secondo una corrente di pensiero – cui ha aderito anche il Tribunale di Torino, chiamato a giudicare il primo grado la vicenda poi decisa dalla Cassazione con la sentenza n. 20327 – la responsabilità solidale si applica i periodi antecedenti al 2013 anche verso il committente pubblica amministrazione, in quanto il d.lgs. n. 276/2003 sarebbe disapplicabile solo nei confronti del rapporto di pubblico impiego.

Questa lettura non è condivisa dalla Cassazione, che – con orientamento costante – esclude la possibilità di applicare le norme dell’art. 29 ai contratti di appalto stipulati dalle amministrazioni pubbliche.

Questa esclusione, secondo la Corte, è ricavabile dall’art. 1 del d.lgs. n. 276/2003, nella parte in cui prevede che il decreto “non trova applicazione per le pubbliche amministrazioni e per il loro personale”. Tale frase esclude chiaramente l’applicabilità di tutto il decreto verso le amministrazioni pubbliche.

La Corte, per rafforzare questa lettura, evidenzia che l’art. 29 riguarda solo gli appalti suscettibili di essere disciplinati dai contratti collettivi di lavoro di natura privatistica; questa circostanza confermerebbe l’inapplicabilità delle regole sulla responsabilità solidale ai soggetti pubblici.

La sentenza, infine, chiarisce la portata dell’art. 9 del d.lgs. n. 76/2013, la norma che ha affermato in maniera chiara l’inapplicabilità della responsabilità solidale verso i contratti di appalto stipulati dalle pubbliche amministrazioni.

Questa norma, secondo la Corte, non ha carattere interpretativo o retroattivo, e quindi non può essere utilizzata per ricostruire il significato delle regole preesistenti; ma non ha neanche carattere innovativo rispetto alle regole preesistenti, in quanto si limita a formulare in maniera più chiara e appropriata una regola che già esisteva.

 

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