In caso di cessione di un ramo di azienda, affinché si possa produrre l’effetto tipico dell’art. 2112 c.c. (il passaggio dei lavoratori dal cedente al cessionario, senza il loro consenso), deve essere provata l’autonomia funzionale del complesso aziendale trasferito.Questa autonomia deve sussistere già al momento dello scorporo dal complesso cedente, e deve tradursi nella capacità del ramo di perseguire uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali e organizzativi. Il ramo, in altre parole, deve essere in grado di svolgere lo stesso servizio eseguito prima della cessione, senza continuare a dipendere dal cedente e senza la ncessità di integrazioni rilevanti da parte del cessionario.
Con l’affermazione di questo principio di diritto la Corte di Cassazione (sentenza 17366/2016, depositata ieri) ha respinto il ricorso promossa da una società telefonica contro la sentenza di merito che aveva annullato il contratto di cessione di una propria divisione aziendale, mediante il quale aveva ceduto a un’impresa esterna il ramo addetto alla fornitura dei servizi di back office (reclami, variazioni, subentri, ecc.), gestione dei rapporti con i clienti e gestione credito.
A seguito della cessione, il personale addetto alle divisioni sopra ricordate veniva trasferito al cessionario, insieme ai sistemi operativi e ai beni mobili utilizzati per l’attività lavorativa (scrivanie, computer, ecc); non venivano trasferite, invece, le infrastrutture tecnologiche (in particolare, i programmi che consentono l’accesso al database clienti) necessarie allo svolgimento del servizio.
Contestualmente alla cessione, le parti stipulavano un contratto di appalto di servizi, mediante il quale l’impresa cessionaria si impegnava ad erogare alla cedente gli stessi servizi svolti dal ramo ceduto.
La Corte d’Appello di Roma accertava l’invalidità del contratto di cessione (condannando la cedente a ripristinare il rapporto di lavoro con il personale “ceduto”) ritenendo che la mancata cessione dei programmi necessari all’erogazione del servizio avesse privato il ramo di azienda di quella capacità di agire in autonomia indispensabile ai fini della configurazione del ramo.
La Corte di Cassazione ha confermato questa decisione, evidenziando che anche dopo le modifiche apportate dalla legge Biagi all’art. 2112 del codice civile, non è rimessa all’autonomia privata la facoltà di identificare come ramo autonomo una porzione di azienda che risulti priva di autonomia funzionale. Al contrario, osserva la Corte, affinché possa esistere un ramo di azienda autonomo, questo deve avere la capacità di svolgere autonomamente dal cedente, e senza integrazioni rilevanti da parte del cessionario, la funzione che veniva svolta prima della cessione. Questo principio, conclude la sentenza, non impedisce la configurazione come ramo autonomo di una porzione di azienda composta in prevalenza da lavoratori e in misura solo limitata da beni materiali; affinchè questo gruppo di lavoratori possa elevarsi al rango di vero e proprio ramo di azienda, tuttavia, è necessario che sussista un know how comune (inteso come bagaglio di conoscenze, esperienze e capacità tecniche) tale da consentire la fornitura completa di un servizio. Non basta, per integrare la mancanza di questo requisito, l’intervento organizzativo del cessionario, per colmare l’eventuale carenza di questo elemento.