Art. 18 e pubblico impiego: la cattiva supplenza alla politica che non decide @Sole24Ore

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Dopo la sentenza della Corte di cassazione con cui è stata dichiarato che, nel pubblico impiego, si applica ancora il vecchio articolo 18 dello Statuto, senza le modifiche introdotte per i licenziamenti disciplinari ed economici, dalla riforma Fornero del 2012, sarebbe facile accusare la magistratura di incoerenza. In pochi mesi, la Corte di cassazione (seppure in sezioni differenti) è giunta a conclusioni opposte. Di ieri la decisione sull’inapplicabilità, per i dipendenti pubblici, dell’articolo 18 così come modificato dalla legge Fornero (che, lo ricordiamo, ha ricondotto i licenziamenti disciplinari illegittimi a fatti insussistenti o a condotte punite con sanzioni conservative nei contratti collettivi o nei codici disciplinari). Lo scorso novembre, invece, la Corte ha optato per l’uniformità, tra pubblico e privato, della discplina sui licenziamenti.Tuttavia, se ci limitassimo ad analizzare le eventuali incongruenze nel ragionamento della Corte rischieremmo di prendere di mira l’effetto e non la causa, del problema, che non nasce nelle aule di giustizia ma è figlio di una indecisione di fondo della politica.

Il dibattito seguito al decreto legislativo 23/2015, sul pubblico impiego ricompreso o meno nell’alveo delle tutele crescenti, è esemplificativo. Le argomentazioni degli esperti e degli opinion maker sono state messe a tacere dal Governo:la questione sarebbe stata risolta con la riforma del pubblico impiego.

Tale soluzione non è mai arrivata e la questione resta aperta. Un problema analogo si è verificato (come confermano le sentenze opposte della Cassazione) con la legge Fornero, che ha rinviato al confronto tra Governo e organizzazioni sindacali la definizione circa «gli ambiti, le modalità e i tempi» dell’armonizzazione della disciplina del pubblico rispetto al privato.

L’indecisione della politica, con la tecnica del rinvio, ha prodotto norme reticenti su questioni di fondo rilevantissime.

La legge Fornero e anche il Jobs Act non dicono mai espressamente che la riforma sui licenziamenti si applica solo al lavoro a privato.

Da qui le decisioni contrastanti della Corte di cassazione su un aspetto non di dettaglio della disciplina giuslavoristica.

In questo modo è stato sconfessato quel processo noto come “privatizzazione” del pubblico impiego, iniziato negli anni novanta, che avrebbe dovuto equiparare le regole vigenti allo scopo di modernizzare l’amministrazione statale; questa scelta sembra essere stata abbandonata, ed è iniziata una lenta e costante opera di demolizione del principio, probabilmente per ragioni di consenso.

Si arriva così al paradosso di lasciare ai giudici la decisione circa il regime dei licenziamenti per i pubblici dipendenti, con il rischio di creare – inseguendo la corretta interpretazione di una legge sibillina – una discriminazione nel trattamento tra i dipendenti pubblici e quelli privati. E non varrebbe come giustificazione il fatto che i pubblici dipendenti sarebbero giustamente destinatari di una diversa tutela in quanto devono garantire il buon andamento della pubblica amministarzione.

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