Codice appalti, al debutto la clausola sociale (ma è facoltativa)

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 Con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del codice appalti (Dlgs 50/2016) è entrata in vigore la nuova disciplina delle clausole sociali. Si tratta di specifiche disposizioni che dovrebbero garantire la continuità occupazionale dei lavoratori interessati da un cambio di appalto, tramite il loro passaggio alle dipendenze del nuovo appaltatore.

In particolare l’articolo 50 stabilisce che i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti per gli affidamenti dei contratti di concessione e di appalto di lavori e servizi, diversi da quelli aventi natura intellettuale, possono prevedere apposite clausole sociali, volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato.

Il legislatore delegato considera facoltativa, e non obbligatoria, l’introduzione della clausola sociale nei bandi di gara; questa scelta ha fatto molto discutere in quanto, nel corso dell’esame della bozza di decreto legislativo, le competenti commissioni parlamentari avevano chiesto che tale previsione fosse obbligatoria.

La clausola sociale può concretizzarsi nell’obbligo, previsto dal bando, di assumere in tutto o in parte il personale già utilizzato dal precedente appaltatore per l’esecuzione del servizio. L’eventuale scelta in questa direzione, precisa la legge, deve prevedere anche l’obbligo per l’aggiudicatario di dare applicazione ai contratti collettivi di settore stipulati, a livello nazionale, territoriale o aziendale, dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Il rispetto dei contratti collettivi è un impegno previsto in più parti dal codice degli appalti: l’articolo 30 stabilisce tale obbligo a carico dei soggetti che eseguono appalti pubblici e di concessioni (comma 3), individua come vincolanti gli accordi in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro, e quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto (comma 4).

L’articolo 50 del codice precisa inoltre che la clausola sociale può riguardare i servizi la cui esecuzione richieda un’alta intensità di manodopera, ma anche in questo caso resta fermo il carattere facoltativo della sua previsione. Rientrano nella nozione, secondo la norma, tutti quei servizi nei quali il costo della manodopera è pari almeno al 50% dell’importo totale del contratto.

Il codice precisa anche che le eventuali clausole sociali dovranno essere conformi ai principi dell’Unione europea: è chiaro il riferimento all’esigenza di rispettare i principi comunitari (e anche costituzionali) in materia di libertà imprenditoriale e della concorrenza, evitando che questo tipo di clausole comportino la restrizione della platea dei soggetti che vogliono competere all’affidamento del servizio.

Quella introdotta dal Dlgs 50/2016 per i bandi pubblici non è l’unica forma di clausola sociale contenuta nella riforma degli appalti.

Una disposizione avente le medesime finalità (salvaguardare l’occupazione nei casi di cambio dell’appaltatore) è contenuta anche nella legge delega che ha dato origine al codice. L’articolo 1, comma 10, della legge 11/2016 (con una disposizione diventata subito efficace) prevede, per il settore dei call center, il passaggio a carico del soggetto che subentra nel servizio del personale impiegato nell’appalto.

La norma si limita a fissare il principio generale, assegnando ai contratti collettivi nazionali di lavoro, stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali maggiormente rappresentative sul piano nazionale, il compito di regolare in maniera completa la materia (si prevede anche un potere sussidiario del ministero del lavoro, in caso di inerzia delle parti sociali).

 

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