Il 20 settembre scorso è stato pubblicato il decreto legge n. 146/2015, c.d. “decreto Colosseo”, contenente misure urgenti volte a garantire una migliore fruibilità del patrimonio storico-artistico nazionale attraverso l’introduzione di norme che limitano il diritto di sciopero dei lavoratori addetti a musei e siti culturali.
Il decreto include nella nozione di servizi pubblici essenziali anche “l’apertura al pubblico di musei e luoghi della cultura, di cui all’articolo 101 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni”.
Per effetto del provvedimento adottato dal Governo, la possibilità di esercitare il diritto di sciopero dei dipendenti addetti ai siti culturali viene subordinata al rispetto della disciplina contenuta nella legge 12 giugno 1990, n. 146 e successive modifiche.
Secondo il comunicato diffuso dall’Esecutivo in sede di approvazione del decreto, il provvedimento d’urgenza si è reso necessario ed improrogabile a causa del ripetuto verificarsi di episodi che hanno impedito la regolare erogazione del servizio pubblico per ragioni di natura sindacale.
In particolare, l’intervento legislativo origina dalle accese polemiche sorte a seguito dell’assemblea sindacale indetta dal personale del Colosseo che ha comportato la chiusura dell’Anfiteatro Flavio e dei Fori Imperiali per l’intera mattinata del 18 settembre scorso.
Vicende del tutto analoghe avevano già interessato, nello scorso mese di luglio, alcuni musei della Capitale e gli scavi di Pompei, rimasti chiusi per un’improvvisa assemblea sindacale nonostante la folla di visitatori accalcata all’ingresso, cagionando, oltre che seri disagi alle persone, un grave danno d’immagine per il Paese.
Novità reale o apparente?Il “decreto Colosseo” ha dato una risposta mediatica molto forte alle polemiche sorte dopo la chiusura ai turisti del monumento ma, a ben vedere, le norme del provvedimento hanno introdotto una innovazione solo apparente, in quanto si sono limitate a trasferire in un testo di legge misure che erano già vincoltanti, in quanto condivise con le parti sociali.
Infatti, con l’Accordo sulle norme di garanzia dei servizi pubblici essenziali e sulle procedure di raffreddamento e conciliazione siglato l’8 marzo 2005 dall’ARAN e dalle principali Organizzazioni Sindacali, le parti sociali hanno definito una serie di regole da osservare per l’esercizio del diritto di sciopero da parte dei lavoratori del comparto Ministeri, ovvero anche personale addetto all’Anfiteatro Flavio.
Tale Accordo, avallato dalla Commissione di garanzia con apposita delibera, ricomprende tra i servizi pubblici essenziali anche quelli relativi alla protezione ambientale e alla vigilanza sui beni culturali per la custodia del patrimonio artistico, archeologico e monumentale, prevedendo espressamente il divieto di proclamare scioperi, in questi settori, durante i periodi di maggiore afflusso di visitatori (nel mese di agosto, nel periodo natalizio e in quello pasquale).
Pertanto, la contrattazione collettiva di riferimento regolava già la disciplina dello sciopero e delle assemblee sindacali nell’ambito dei siti culturali gestiti dagli organismi ministeriali: con il decreto, la regolamentazione in materia assume forza di legge, ricomprendendo nella platea di destinatari anche le strutture museali e i siti culturali gestiti da soggetti privati.
La regolamentazione del diritto di sciopero nei servizi pubblicii
L’art. 1 della legge n. 146/1990 individua espressamente quali siano i diritti che debbono ritenersi tutelati, in quanto costituzionalmente garantiti, in caso di proclamazione ed attuazione di uno sciopero nei servizi pubblici essenziali; essi afferiscono al diritto alla vita, alla salute, alla sicurezza, la libertà di circolazione, il diritto all’assistenza e previdenza sociale, il diritto all’istruzione, la libertà di comunicazione, ed i servizi volti all’approvvigionamento di beni di prima necessità.
La legge qualifica come pubblici ed essenziali tutti quei servizi la cui erogazione è strumentale al godimento di questi diritti, e che pertanto devono essere assoggettati alle norme che regolamentano l’esercizio del diritto di sciopero.
Il diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, sino all’approvazione dei principi appena ricordati, non è stato disciplinato da alcuna regolamentazione specifica; l’unica norma di riferimento era l’art. 40 Cost., che riconosce il generale diritto di astensione collettiva dal lavoro assoggettandone l’esercizio “alle leggi che lo regolano”.
La legge n. 146/1990 persegue la finalità di contemperare l’esercizio del diritto di sciopero con l’esigenza di tutelare i beni costituzionali di rilevanza primaria alla cui soddisfazione sono diretti i servizi pubblici essenziali.
L’attuazione della legge è affidata ad un’apposita autorità, conosciuta come Commissione di garanzia per l’attuazione del diritto allo sciopero nei servizi pubblici essenziali, composta da esperti nominati dal Presidente della Repubblica e collocata in posizione di indipendenza e munita di ampi poteri di indirizzo ed intervento, chiamata a svolgere una funzione di vigilanza e controllo con l’obiettivo di individuare soluzioni che contemperino il diritto costituzionale allo sciopero con l’interesse pubblico alla fruizione di servizi considerati essenziali.
In particolare, la funzione della Commissione è quella di garantire che l’esercizio del diritto sciopero non pregiudichi l’erogazione di un livello minimo di servizio in determinati settori.
La procedura di sciopero
La legge n. 146/1990 definisce la procedura che deve essere osservata in caso di scioperi proclamati nell’ambito dei servizi pubblici essenziali, prevedendo anzitutto che l’astensione collettiva debba essere comunicata per iscritto con un preavviso non inferiore a dieci giorni dalla data programmata per l’inizio dello sciopero.
Tale comunicazione deve essere inviata al datore di lavoro e all’autorità competente (il prefetto, il ministro delegato, o il Presidente del Consiglio, a seconda della rilevanza territoriale del conflitto), che informa la Commissione di garanzia, e deve anche contenere l’indicazione della durata dello sciopero, nonché delle ragioni alla base dello stesso. Questi obblighi vengono meno solo in caso di agitazioni in difesa dell’ordine costituzionale o per protesta contro gravi eventi lesivi dell’incolumità e della sicurezza dei lavoratori.
Procedure di raffreddamento e precettazione
La legge n. 83/2000, al fine di rafforzare i profili di tutela per gli utenti dei servizi, ha reso obbligatoria la prassi (affermatasi nella contrattazione degli anni precedenti) di disciplinare negli accordi collettivi alcune procedure compositive del conflitto (le c.d. “procedure di raffreddamento e di conciliazione”).
Nell’ambito delle misure volte a contemperare i diversi interessi in caso di sciopero nei servizi essenziali, particolare rilevanza assume lo strumento della precettazione, provvedimento amministrativo straordinario che può essere adottato qualora sussista un fondato pericolo di un pregiudizio grave e imminente ai diritti della persona costituzionalmente tutelati, derivante dall’interruzione o dal malfunzionamento di servizi pubblici essenziali.
In tali ipotesi, l’autorità competente – dietro segnalazione della Commissione, o di propria iniziativa, in casi di particolare urgenza -, può emanare un’ordinanza che disponga il differimento dell’astensione collettiva o la riduzione della durata dello sciopero, ovvero imponga l’osservanza di livelli di funzionamento dei servizi adeguati rispetto alla situazione concreta.
Il provvedimento deve essere emanato non meno di quarantotto ore prima dell’inizio dello sciopero, salvo che vi siano ancora in corso il tentativo di conciliazione o sussistano particolari ragioni di urgenza. Una volta emanato, il provvedimento viene affisso nei luoghi di lavoro e diffuso pubblicamente (a mezzo stampa, televisione, ecc.).
L’ordinanza di precettazione può essere reclamata avanti al giudice amministrativo entro sette giorni dalla sua pubblicazione (o dall’affissione sul luogo di lavoro) e la sua violazione comporta sanzioni amministrative pecuniarie a carico dei lavoratori e delle Organizzazioni Sindacali.
Inoltre, l’apparato sanzionatorio prevede la sospensione dei permessi sindacali retribuiti e/o dei contributi sindacali, in misura variabile a seconda della consistenza dell’Organizzazione Sindacale, della gravità della situazione, dell’eventuale recidiva e degli effetti dello sciopero sul servizio pubblico.
Sanzioni disciplinari
I lavoratori che scioperano illegittimamente sono passibili anche di sanzioni disciplinari: la riforma del 2000 ha introdotto l’obbligo del datore di lavoro di esercitare il potere disciplinare, secondo le indicazioni ricevute dalla Commissione di garanzia. Specificamente, tale organo, valutato il comportamento delle parti e rilevati eventuali inadempimenti o violazioni, prescrive al datore di lavoro di applicare sanzioni disciplinari, diverse dal licenziamento, secondo la disciplina della contrattazione collettiva applicabile.
A seguito dell’abrogazione degli articoli 330 e 333 cod. pen. per effetto della legge n. 146/1990, non sono invece più sanzionabili penalmente le astensioni collettive illegittime, benché la giurisprudenza di legittimità abbia chiarito che eventuali sanzioni penali possono essere comunque irrogate se il comportamento degli scioperanti integra gli estremi di specifici reati previsti dal diritto penale comune (cfr. Cass. n. 17906/2003).
Giampiero Falasca, Alessandro Recalcati – Guida al Lavoro Il Sole 24 Ore