Filippo Chiappi
Il decreto delegato n. 81/2015 attuativo della legge n. 183/2014, contiene, all’art. 51, una disposizione innovativa e valida per l’intera “disciplina organica”, relativa alla definizione di “contratti collettivi”. La norma estende la titolarità contrattuale collettiva ad ogni livello di contrattazione sia esso nazionale, ma anche territoriale ovvero aziendale in ogni ipotesi nelle quali lo stesso decreto delegato non preveda espressamente in modo differente. In effetti, l’aspetto della nuova forza “collettiva” è stata richiamata nella disamina iniziale in tema di limiti quantitativi.
La disposizione, senza entrare nella complessità terminologica e concettuale della valutazione di rappresentatività, rende possibili e legittimi anche accordi collettivi “separati”, consentendo la sottoscrizione delle intese contrattuali da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative. Infine, l’art. 51 d.lgs. n. 81/2015, parifica, sulla falsariga di quanto già previsto proprio nell’art. 8 del d.l. n. 138/2011, convertito dalla legge n. 148/2011, gli accordi sottoscritti in azienda dalle rappresentanze sindacali aziendali delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria. La disposizione del 2015 sui contratti collettivi di ogni livello, dunque, sembra porsi in diretta competizione con quella del 2011 sui contratti collettivi di prossimità, quanto meno per la scelta legislativa di carattere generale che affida anche alla contrattazione aziendale e territoriale le possibilità di intervento normativo che il d.lgs. n. 81/2015 affida alle parti sociali, liberando la fase di contrattazione collettiva “dalla necessaria prossimità”, in azienda o nel territorio di riferimento (provinciale o regionale), dai vincoli specifici dell’art. 8, in particolare in termini di necessarie finalità.
L’articolo otto in merito alla “prossimità”, merita a questo punto una importante riflessione. La contrattazione di secondo livello e cioè territoriale ed aziendale, attraverso la configurazione di prossimità, è legittimata ad introdurre, secondo criteri di rappresentatività sindacale, deroghe in bonam ed in malam partem, rispetto alla contrattazione nazionale. È chiaro che in tale direzione, l’obiettivo che ci deve essere nella contrattazione aziendale e territoriale è quello di assicurare trattamenti che siano finalizzati ad uno scopo ben preciso. Ergo, non può essere una contrattazione derogatoria casuale; una contrattazione che è sganciata da regole generale di tipo sindacale. Deve essere una contrattazione di prossimità derogatoria con obiettivi che siano per esempio, quello più sentito, della conservazione del posto di lavoro o dell’incremento occupazionale. Quando si va ad incidere (in modo derogatorio) sulle materie sancite dall’art 8 delle Legge n. 148/2011 ossia sull’orario di lavoro, sulle nuove ipotesi di somministrazione, sui contratti a termine, sulle collaborazioni coordinate continuative, sulle partite IVA, sulle conseguenze del licenziamento illegittimo, sono tutte, come dire, indicazioni funzionali ad un obiettivo (conservazione del posto; incremento occupazionale; competitività dell’azienda…). Non deve essere una contrattazione collettiva quale capriccio delle sigle sindacali che per un loro vezzo vogliono in peius derogare alla contrattazione nazionale o addirittura derogare alla legge. Ovviamente, con l’articolo otto del contratto di prossimità, sebbene abbiamo parlato di una derogabilità ad ampio raggio, c’è sempre il limite “forte” della non derogabilità ai principi costituzionali, ai principi dei trattati comunitari e internazionali.
Per quanto sopra, si comincia a dibattere ed a sostenere che la disciplina organica recata dal d.lgs. n. 81/2015 con riferimento ai tipi contrattuali collettivi ridefiniti e normati, anche soltanto per i profili di successione di leggi nel tempo, impatta in termini restrittivi, se non proprio implicitamente abrogativi, rispetto alla contrattazione collettiva di prossimità, laddove il legislatore abbia espressamente previsto, per determinati istituti, il rimando specifico alla contrattazione collettiva. D’altra parte, ove si consideri la portata generale ed astratta dell’art. 8, e la coerenza interna della norma anche rispetto al percorso evolutivo del quadro normativo di riferimento, potrebbe riconoscersi ancora uno spicchio di operatività significativa dei contratti collettivi di prossimità rispetto ai nuovi profili di disciplina delineati dal d.lgs. n. 81/2015, presumibilmente, per gli ambiti regolatori affidati esclusivamente alla contrattazione di livello nazionale e non a quello di secondo livello.
In sostanza viene data una grande forza alla contrattazione collettiva di qualsiasi livello, di normare dalla somministrazione di lavoro al lavoro a termine, dal contratto part-time alle mansioni, dal contratto a chiamata al congedo parentale. L’art 51 del Dlgs 81/2015 mette, come punto cruciale ed innovativo, sullo stesso piano gli accordi nazionali con quelli territoriali ed aziendali, moltiplicandone, tra l’altro, il raggio di azione. In sostanza, per le materie espressamente indicate, nel cosiddetto codice dei contratti, la contrattazione decentrata non solo non avrà la necessità di alcuna delega specifica del “nazionale” ma tali accordi avranno la stessa valenza giuridica.
Tutto ciò potrebbe deporre per il “de profundis” della prossimità, sia dal versante di una possibile veste abrogativa in specie sulle materie affidate dal legislatore alla contrattazione collettiva, sia dal versante di uno scarso appeal poiché la legge consente di operare regolamentazioni aziendali ad hoc per la singola realtà imprenditoriale ovvero territoriale, sia perchè non appare così certo che l’articolo 8 si possa utilizzare anche per quegli istituti nati successivamente alla legge 148/2011.