Cancellare il rito Fornero è un’ottima idea. Ma perché farlo solo per i neoassunti?

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Con il Jobs Act il processo di lavoro viene riformato ancora una volta, dopo le novità del 2012, e ancora una volta le nuove norme si caratterizzano per un alto livello di complessità applicativa.

Questo problema della complessità è un fardello che il diritto del lavoro italiano si porta dietro da tanti, troppi, anni, e che riemerge sempre, anche quando – come fa l’attuale riforma – vengono approvate regole che mirano a semplificare in maniera importante il sistema normativo.

Il paradosso – che potremmo definire della “semplificazione complessa” – ruota intorno ai concetti di “vecchi assunti” e “nuovi assunti”, che nel Jobs Act segnano la linea di demarcazione tra i lavoratori per i quali la riforma non applica e quelli interessati dalle nuove regole.

Chiunque nei prossimi anni avrà l’esigenza di cimentarsi con il processo del lavoro – ma la questione si riproporrà in termini identici anche per il regime sanzionatorio dei licenziamento – dovrà sempre verificare se un dipendente rientra nell’una o nell’altra categoria.

Se il licenziamento sarà impugnato da un “vecchio assunto”, nulla cambierà rispetto alle regole processuali (e no) oggi vigenti, introdotte nel 2012 dalla riforma Fornero; se invece la causa sarà promossa da un “nuovo assunto” (cioè un lavoratore impiegato a tempo indeterminato dopo l’entrata in vigore della riforma), si applicheranno le regole del rito ordinario, tornando a quanto accadeva prima del 2012.

I motivi di questo ritorno al passato sono da ricercare nei risultati modesti prodotti dal rito sommario introdotto dalla legge Fornero, che era nato con lo scopo di velocizzare il processo e ha finito per allungare le liti, introducendo di fatto un quarto grado di giudizio.

I nuovi assunti saranno interessati anche dall’abrogazione della norma che, prima della causa, imponeva l’attivazione procedura di conciliazione preventiva, in caso di licenziamenti economici: l’obbligo resterà in vita solo per i vecchi assunti, per gli altri verrà meno, ma si apriranno le porte del nuovo istituto della conciliazione volontaria.

Come si vede, la riforma introduce semplificazioni importanti, ma solo per alcuni gruppi di lavoratori, con la conseguenza che per molti anni conviveranno nel mercato del lavoro due processi del lavoro, due procedure conciliative, due regimi di impugnazione dei licenziamenti.

Alcuni esponenti politici stanno denunciando in maniera strumentale questa situazione, per sostenere la presunta incostituzionalità del Jobs Act.

Questo allarme non coglie nel segno; la Corte Costituzionale ha più volte spiegato che una diversa data di assunzione è un elemento sufficiente a giustificare l’applicazione di regole differenti, senza violazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza.

La critica, meno tendenziosa e più impegnativa, che andrebbe mossa alla scelta di applicare la riforma solo ai nuovi assunti dovrebbe essere diversa: se è vero – ed è innegabile – che con Jobs Act il processo del lavoro (come anche il regime dei licenziamenti) viene semplificato, dovremmo avere il coraggio di applicarlo subito a tutti una riforma così importante, senza allungare la lista già corposa dei muri che separano i lavoratori più garantiti da quelli meno tutelati, e senza creare sovrapposizioni di norme che rendono poco comprensibile il nostro sistema normativo agli investitori, italiani e stranieri.

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