Secondo il decreto attuativo del Jobs Act, i lavoratori che perderanno il lavoro al termine di una procedura di licenziamento collettivo potranno ottenere, in caso di impugnazione del recesso e di esito vittorioso della causa, un doppio tipo di tutela, dal contenuto sostanzialmente identico al regime previsto per i casi individuali.
Questa innovazione, una volta entrata in vigore, si applicherà tuttavia soltanto ai nuovi assunti; per i lavoratori già in servizio a tale data, continueranno a trovare applicazione le regole sino ad oggi vigenti.
Ma vediamo in concreto le novità.
Secondo lo schema di decreto attuativo, per il licenziamento collettivo intimato senza forma scritta si applicherà la normativa vigente per il recesso orale; il lavoratore avrà diritto, quindi, alla reintegrazione sul posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno, in misura pari alle retribuzioni che avrebbe percepito dalla data della perdita del lavoro sino a quella dell’effettiva riammissione in servizio.
Per il licenziamento collettivo viziato dalla violazione di una delle regole procedurali previste dalla legge n. 223 del 1991, oppure dalla violazione dei criteri di scelta legali o contrattuali, si applicherà, invece, la disciplina prevista per il licenziamento individuale motivato da giustificato motivo oggettivo.
La scelta di unificare il regime sanzionatorio applicabile ai licenziamenti economici individuali e collettivi è stata molto criticata, ma le obiezioni formulate rispetto a tale decisione sembrano poco centrate; a parità di ragioni sottese alla decisione aziendale, pare logico e coerente che si applichi lo stesso regime sanzionatorio.
In concreto, l’innovazione si tradurrà nella possibilità, per i casi ricordati (violazione delle procedure o dei criteri di scelta), di ottenere un risarcimento del danno in misura pari a 2 mensilità lorde per ciascun anno di lavoro, da un minimo di 4 sino a un massimo di 24.
Nessuno spazio residuo sembra restare alla reintegra, che nella normativa risultante dalla riforma del 2012 era prevista, con una formula molto ambigua che ha creato diversi problemi applicativi, per i casi di violazione dei criteri di scelta.
E’ importante notare che la riforma tocca solo il regime sanzionatorio, mentre non incide in alcun modo sulle regole di svolgimento della procedura collettiva, previste nella legge n. 223 del 1991, che restano immutate.
Resta confermato, quindi, l’obbligo di attivare la procedura ogni volta che si intende licenziare un gruppo di almeno 5 dipendenti nell’arco di 120 giorni, per aziende che hanno un organico composto da più di 15 lavoratori.
La procedura deve essere avviata mediante una comunicazione scritta, diretta alle rappresentanze sindacali aziendali e alle rispettive organizzazioni, nella quale sono indicati il numero degli esuberi, le ragioni che rendono inevitabile il licenziamento e i motivi che impediscono il ricorso a soluzione alternative.
Resta confermato anche l’obbligo di esperire due distinti percorsi di negoziazione: una prima fase – c.d. esame congiunto – si svolge direttamente tra l’azienda e il sindacato, e dura un massimo di 45 giorni. Se questa fase non porta ad alcun accordo, si svolge un secondo confronto, presso l’autorità amministrativa competente (secondo i casi, Regione o Ministero del lavoro). Se anche questa mediazione fallisce, l’azienda procede ai licenziamenti, scegliendo i lavoratori secondo i criteri di scelta previsti dalla legge (carichi di famiglia, anzianità lavorativa, esigenze aziendali). Se invece le parti, durante il negoziato sindacale o amministrativo, trovano l’accordo, il licenziamento collettivo può essere revocato, oppure può avvenire secondo i criteri concordati tra le parti stesse, anche mediante il riconoscimento di un incentivo all’esodo.
Le novità del Jobs Act non troveranno applicazione, neanche se si tratta di nuovi assunti, nei confronti dei dirigenti.
Per questi lavoratori, dopo la sentenza della Corte di Giustizia del febbraio scorso e la successiva revisione della legge n. 223/1991, sussiste l’obbligo di attivare la procedura, con regole identiche a quelle degli altri lavoratori, ma esiste un regime sanzionatorio specifico.
Sulla base di tale regime, la violazione delle regole della procedura o dei criteri di scelta comporta il diritto al pagamento di un’indennità di importo compreso tra 12 e 24 mensilità della retribuzione (importo che può essere aumentato o ridotto dai contratti collettivi).
