Cambia ancora la conciliazione di lavoro. Con regole a macchia di leopardo

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Giampiero Falasca

La conciliazione di lavoro cambia volto, seppure in maniera graduale. Per i lavoratori assunti dopo l’entrata in vigore del primo decreto attuativo del Jobs Act (quindi, verso la fine di gennaio prossimo), potrà essere utilizzata la nuova procedura di conciliazione facoltativa introdotta del decreto di riforma, mentre non sarà più utilizzabile la conciliazione preventiva in DTL, introdotta dalla legge Fornero.
Per i lavoratori assunti prima dell’entrata in vigore del decreto, la situazione si rovescia: continuerà ad applicarsi la procedura presso la DTL, mentre non sarà utilizzabile la conciliazione facoltativa.
Un bel pasticcio, che nasce dalla scelta parlamentare di delimitare la riforma solo ai nuovi assunti, e che potrà creare grande confusione applicativa, in quanto per molti anni conviveranno nel sistema due procedure di conciliazione molto diverse, sotto tanti punti di vista.
La prima differenza riguarda l’ambito di applicazione: la procedura Fornero vale solo per i licenziamenti economici, la conciliazione facoltativa introdotta dal Jobs Act può essere usata per qualsiasi recesso.
Altra differenza rilevante riguarda la volontarietà: la procedura in DTL deve essere obbligatoriamente seguita, prima di procedere al licenziamento. Al contrario, la conciliazione prevista dal Jobs Act ha natura meramente facoltativa: il datore di lavoro può decidere liberamente se tentare questa strada, offrendo l’assegno risarcitorio, e il lavoratore è libero di accettare o rifiutare.
Cambia anche la sede della conciliazione: la procedura Fornero si svolge presso la DTL, la conciliazione facoltativa invece può essere attivata presso una qualsiasi sede di conciliazione abilitata dalla legge.
Un’altra importante differenza riguarda il risarcimento dovuto al lavoratore. Nella conciliazione preventiva in DTL, le parti sono libere di definire le condizioni economiche dell’intesa. Invece, nell’ambito della nuova conciliazione facoltativa, l’offerta economica deve corrispondere a 1 mensilità, per ogni anno di anzianità (in misura comunque non inferiore a 2 e non superiore a 18).
Diversi sono anche gli incentivi connessi alle somme pagate nell’ambito dell’una e dell’altra procedura. Le somme riconosciute sulla base dell’accordo raggiunto in DTL danno diritto, infatti, all’applicazione delle regole sugli incentivi all’esodo: tassazione separata ed esenzione dai contributi previdenziali.
Le somme offerte dal datore di lavoro nell’ambito della conciliazione facoltativa hanno una disciplina ancora più favorevole, in quanto sono totalmente esenti da qualsiasi imposizione fiscale e contributiva.
Ultima differenza riguarda gli effetti delle due procedure. Nella conciliazione preventiva, sono le parti a decidere le sorti del rapporto di lavoro – possono risolverlo consensualmente o concordare la sua prosecuzione – e di norma concordano la rinuncia a qualsiasi pendenza reciproca.
Nella conciliazione facoltativa, invece, non viene firmato un vero e proprio accordo: la semplice accettazione della somma comporta la decadenza del diritto ad impugnare il licenziamento, mentre resta aperta ogni altra questione relativa al rapporto intercorso (es. differenze retributive, inquadramenti, ecc.), che potrà essere risolta solo mediante la firma di un ulteriore accordo, separato e distinto dalla procedura.

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