Francesco Giubileo
Attualmente la “piaga” della disoccupazione giovanile rappresenta il tema principale delle politiche del lavoro, eppure all’interno di coloro che possiamo considerare “svantaggiati” i giovani non sono quelli più in difficoltà. Infatti esiste una categoria di soggetti che purtroppo paga un elemento discriminatorio (l’età anagrafica) indifferente al livello di competenza, ovvero quei disoccupati Over 50’ che provengono da settori saturi (manifatturieri o, piccoli imprenditori di attività commerciali fallite, ex-quadri dirigenti) e che riscontrano una difficoltà enorme nel reinserirsi nel mercato del lavoro.
Gli strumenti di politica del lavoro (poco attiva – molto passiva) utilizzati in vari paesi si possono riassumente in quattro grandi aree: orientamento professionale /delega al privato; formazione; incentivi alle imprese; e infine creazione diretta del lavoro. A seconda dei paesi presi in considerazione, i programmi di ricollocazione fanno riferimento ad una di questa macro aree o alla loro combinazione.
Riquadro 1 – Programmi di politica del lavoro
Programma
Descrizione
Orientamento, accompagnamento al lavoro oppure delega al privato
Si va dal “profiling” degli utenti, al bilancio di competenza (effettuato anche da società private esterne), ad attività di orientamento di breve termine (scouting aziendali tramite web, revisione c.v. e simulazione del colloquio) ad, infine, agevolazioni per il collocamento e la delega alla agenzie private tramite voucher (secondo principi di Black-box)
Formazione di lungo o breve periodo
Formazione full o part-time volte a migliorare l’occupabilità (da 3 a 12 mesi). Si privilegia la formazione mirata (nei casi migliori attraverso le indicazioni delle parti sociali e l’analisi delle fonti amministrative). E’ prevista una fase di coaching nell’applicazione del percorso e la certificazione delle competenze specifiche acquisite.
Incentivi economici alle imprese
Sono sussidi per l’ occupazione regolare per un periodo che va dai 12-24 mesi (spesso va vista come una compensazione del reddito da lavoro) e il valore è proporzionale al periodo di disoccupazione. E’ richiesta la registrazione ai servizi pubblici per l’impiego.
Schemi di creazione diretta (lavori di pubblica utilità).
Opportunità di lavoro in settori di pubblico interesse, ad esempio, infrastrutture e lavoro sociale (all’interno dello stesso settore pubblico, parapubblico o privato sovvenzionato). E’ prevista una bassa remunerazione paragonabile ad una cifra leggermente superiore al sussidio di disoccupazione e non può durare più di 12 mesi. Nel caso si tratta di lavori presso aziende private, lo strumento è accompagnato da vari incentivi per una eventuale successiva stabilizzazione.
In forme e modalità diversa gli Schemi di creazione diretta, noti in Italia come lavori socialmente utili, rappresentano lo strumento più utilizzato in tutti i paese Ocse per affrontare la disoccupazione dei lavoratori Over 50’. In alcuni paesi, i lavori di pubblica utilità sembrano effettivamente generare un impatto positivo sulla propensione dei beneficiari di sussidi a lavorare e riducono percettibilmente il periodo di disoccupazione (Rosholm M. e Svarer M.,2004, Estimating the Threat Effect of Active Labour Market Programmes – Iza N. 1300). Curiosamente a condizionare il successo o meno dello strumento non è la capacità dello strumento di incidere sull’occupabilità, quanto la “minaccia” di essere obbligati a svolgere un tipo di lavoro considerato poco desiderabile da molti disoccupati.
Tuttavia, per evitare di generare aspettative circa la capacità di reinserimento lavorativo dei beneficiari, questi programmi vanno giustificati sulla scorta di altre considerazioni: rappresentano un test di disponibilità da parte di individui che vengono solitamente percepiti come poco motivati nella ricerca di lavoro; se realizzati efficacemente possono favorire l’inclusione sociale dei partecipanti.
Aspetti positivi che purtroppo non si evidenziano nelle varie sperimentazioni in Italia, dove lo strumento è diventato un traghetto verso la pensione nel quale spesso si è fatto ricorso più per raccogliere consenso politico che per realizzare una concreta inclusione sociale dei beneficiari.
In Italia accanto ai vari schemi di Creazione diretta del lavoro, per ricollocare i disoccupati Over 50’ si sono utilizzati svariate forme di incentivi economici, tra questi il più noto è la mobilità (il programma è stato introdotto con la legge 223/1991 e successivamente cancellata dalla Legge 92/2012). Tale strumento, combinava una componente attiva, l’incentivo all’impresa che assume un lavoratore iscritto in lista, con una componente passiva, l’indennità di mobilità per taluni lavoratori iscritti nella lista. L’evidenza empirica sulla permanenza o meno nella lista purtroppo non mostra alcun effetto sulla probabilità di ri-occupazione e sui salari (Poggiaro A., Rettore E. e Trivellato U., 2009, Il programma liste di mobilità: il mix di componenti attive e passive e gli effetti della diversa durata di ammissibilità nelle liste, in Cantalupi M. e Demurtas M. [a cura di], politiche attive del lavoro,servizi per l’impiego e valutazione, il mulino, bologna, pp.155-180).
A livello internazionale, analizzando l’impatto macroeconomico degli incentivi, si enfatizza l’esistenza di ampi effetti “peso morto”, “spiazzamento” e di “sostituzione”, che potrebbero neutralizzare i positivi risultati (Riquadro 2).
Riquadro 2 – Cosa sono gli effetti “peso morto”, “spiazzamento” e “sostituzione
Gli effetti di “sostituzione” derivano dal fatto che le aziende aumentano il numero dei loro dipendenti in ragione di attesi aumenti e opportunità per la loro attività economica, non come conseguenza di bonus fiscali. Si tratta di misure che di per sé non aumentano l’occupazione, ma cambiano la tipologia di lavoratori. L’effetto di “spiazzamento” si verifica quando un posto di lavoro è creato e un altro distrutto. Infine, l’effetto di “peso morto” si verifica quando viene creato un posto di lavoro che sarebbe stato creato in ogni caso, anche senza incentivi.
Inoltre, si documenta un profilo pro-ciclico nel senso che i sussidi hanno un pay off tanto maggiore quanto migliore sono le condizioni del mercato del lavoro (Kluve J. et al.,2007, Active Labor Market Policies in Europe: Performance and Perspectives, Springer, Berlin).
Sotto il profilo occupazionale, la formazione professionale in periodi di recessione economica, come quello attuale, mostra scarsissimi risultati: il caratterizzarsi come strumento “tampone”, spesso necessario per ottenere risorse comunitarie e in grado di garantire lavoro quasi esclusivamente alla struttura che eroga il servizio piuttosto che ai destinatari. In Italia l’esempio più lampante riguarda la “catastrofica” gestione delle politiche attive tra il 2009 e 2011 volte alla riqualificazione e ricollocazione dei cassaintegrati in deroga (in prevalenza lavoratori Over 45’), il risultato è stato un spreco di miliardi di euro in “inutili” corsi di formazione o attività di orientamento.
Verso questi lavoratori, l’Unione Europea consapevole delle loro difficoltà di ricollocamento, propone un approccio proattivo (European Commission, The role of the Public Employment Services related to Flexicurity, in The European Labour Markets VC/2007/0927,March 2009, Cap. 3), in modo da scongiurare il licenziamento di lavoratori adulti nella fase di ristrutturazione aziendale oppure metterli nelle condizioni di affrontare la ricerca di un nuovo lavoro con maggiori competenze.
Tale approccio, fa riferimento al programma Job-rotation , presente ormai da decenni in Germania e Danimarca, l’idea è quella di porre i Servizi pubblici per l’impiego al centro di un progetto, in condivisione con le parti sociali, con l’obiettivo di creare uno strumento di politica attiva del lavoro prima che il lavoratore perda il proprio posto di lavoro. Nel dettaglio, lo strumento consiste nel liberare un lavoratore adulto (Over 50’) per la formazione professionale, mentre in quello stesso periodo il suo posto di lavoro viene occupato da un giovane disoccupato.
Le parti sociali concordano assieme quali possono essere i soggetti all’interno del contesto aziendale che necessitano di questo servizio, ma proprio sulla scorta dell’esperienza delle politiche attive ai cassaintegrati in deroga, si procede solo se successivamente c’è l’interesse da parte del lavoratore.
Questo perché deve esserci, negli stessi lavoratori adulti, la consapevolezza nel caso di licenziamento del rischio di diventare disoccupati di lungo periodo, con enormi difficoltà di rientrare nel mercato del lavoro.
Accanto al fatto che il lavoratore adulto si prende un anno per aggiornarsi (anche per concludere eventuali percorsi universitari) concordando con i Centri per l’impiego il percorso formativo, l’impresa è obbligata ad assumere un giovane disoccupato (non necessariamente per la stessa mansione) per sostituire il lavoratore che è in formazione.
Il limite dello strumento, nonostante rientri tra le principale priorità definite dall’Unione europea (quindi finanziabile in parte con le risorse comunitarie) è rappresentato dal contributo economico non indifferente che l’attore pubblico deve sostenere per incentivare l’impresa. I costi sono legati allo stipendio del lavoratore anziano, il quale si paga la formazione (in modo da disincentivarlo nella scelta di corsi non coerenti con le sue aspettative), mentre l’impresa paga la retribuzione del giovane (meno onerosa in termini di contributi da versare e livello contrattuale).
In generale, si propone qualcosa che tenta di accompagnare l’attuale riforma del lavoro nel suo aspetto più delicato, ovvero cosa succede al lavoratore adulto dopo il licenziamento. Invece di affidarlo ad alcune politiche attive totalmente inadeguate per il loro ricollocamento, si cerca di affrontare il problema prima che si presenti.
Analogo strumento è presente in Svezia, noto come Career Break, ma nello stesso paese vale la pena segnalare uno degli strumenti di politica del lavoro più interessanti: la Garanzia di sviluppo e di un posto di lavoro. Lo strumento parte come politica attiva, sviluppa programmi di inserimento (anche con accordi di partenariato con l’attore privato) e infine, in caso di esito negativo, si trasforma in un mix tra sostegno al reddito e creazione diretta da parte dell’attore pubblico di lavoro. Un intervento del genere, anche in questo caso estremamente oneroso per l’attore pubblico, modifica in maniera sostanziale il mercato del lavoro riducendo o cancellando il tasso di disoccupazione di lunga durata.
Infine, l’Australia rappresenta un “caso studio” moto interessante per il collocamento dei soggetti svantaggiati in professioni a basse qualifiche, delegando l’attore no-profit. La scelta di affidarsi a organizzazioni sociali, cooperative, fondazioni, sindacati e strutture caritatevoli/religiose sembra produrre effetti positivi, sono strutture già abituate al collocamento del soggetto svantaggiato quindi si finanzia il loro lavoro in modo da avere una maggiore produttività. Il limite di questo modello sono i risultati, stiamo parlando di piccoli progetti e gli esiti sono calcolabili in poche centinaia di collocamento all’anno in un contesto, quello australiano, non certo in recessione come l’Italia.
In generale, non esiste la formula magica per il collocamento dei disoccupati Over 50’, ogni soluzione presenta vantaggi e svantaggi applicativi o di sostenibilità economica. Tuttavia la regola d’oro sembra rappresentare una sorta di mix tra i vari modelli: azioni proattive come il Job-Rotation; delega al privato che già si occupano di soggetti svantaggiati; e infine incentivare l’occupazione verso le professioni più in linea con il possibile ricollocamento degli Over 50’.