Per quali motivi è oggi possibile licenziare?
Un lavoratore può essere licenziato per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, se compie delle mancanze che fanno venire meno la fiducia del datore di lavoro (c.d. licenziamento disciplinare). Se invece il datore di lavoro, pur non avendo degli addebiti specifici a carico del dipendente, ha una situazione di crisi oppure deve riorganizzare l’azienda, si può licenziare per giustificato motivo oggettivo (C.d. licenziamento economico, individuale o collettivo).
Che cosa prevede il Jobs Act sui licenziamenti?
Il Jobs Act prevede una manutenzione delle regole introdotte con la riforma del 2012, che resta confermata nella sua struttura collettiva.
Per i licenziamenti fondati su motivi economici, è prevista la cancellazione della norma che, per i casi di manifesta insussistenza del licenziamento, prevedeva il diritto alla reintegrazione sul posto di lavoro. Questa sanzione aveva carattere accessorio e residuale, per questa forma di licenziamento, ora scompare del tutto. Sempre per i recessi economici, si prevede la fissazione di risarcimenti certi e crescenti nel tempo.
Quanto ai licenziamenti disciplinari, si prevede la definizione precisa delle causali che danno diritto alla reintegrazione. Anche la normativa attuale definisce tali ipotesi in maniera specifica, con la riforma queste dovrebbero essere semplificate e meglio precisate.
Non cambia nulla, infine, per i licenziamenti nulli o fondati su ragioni discriminatorie.
Quando un licenziamento si definisce “discriminatorio”?
Quando la ragione del licenziamento – quella reale, anche se non dichiarata – è la volontà di punire il lavoratore per alcune sue caratteristiche personali (es. sesso razza età ecc), convinzioni ideali, religiose e politiche, che non hanno alcuna attinenza con l’attività lavorativa.
Con le regole attuali, che cosa succede in caso di licenziamento discriminatorio ritenuto illegittimo?
Con le regole attuali, un licenziamento che viene qualificato come discriminatorio viene annullato dal giudice, e il lavoratore ha diritto di essere reintegrato sul posto di lavoro; in aggiunta alla reintegra, il lavoratore ha il diritto di ottenere un risarcimento del danno pari alle retribuzioni maturate dalla data di uscita dall’azienda sino a quella di effettivo rientro.
Quando un licenziamento si definisce “disciplinare”? Qual è la differenza tra licenziamento per giusta causa e licenziamento per giustificato motivo soggettivo?
Un licenziamento si definisce “disciplinare” quando viene intimato all’esito di una procedura – disciplinare, appunto – prevista dall’art. 7 dello Statuto dei lavoratori, nel corso della quale il datore di lavoro contesta al dipendente delle mancanze. Se le mancanza contestate non consentono la prosecuzione, neanche provvisoria, del rapporto di lavoro, il datore, dopo aver mandato la contestazione e dopo aver ascoltato le giustificazioni del dipendente, licenzia per giusta causa (il rapporto si interrompe subito, senza diritto al preavviso). Se invece le mancanze si concretizzano in una violazione dei doveri contrattuali, gravi ma non così tanto da impedire la prosecuzione provvisoria del rapporto, il datore di lavoro licenzia per giustificato motivo soggettivo, e il licenziamento ha efficacia dalla fine del periodo di preavviso (oppure subito, se il datore decide di pagare l’indennità sostitutiva del preavviso).
Che cosa succede oggi in caso di licenziamento per motivi disciplinari ritenuto illegittimo dal giudice e che cosa è invece previsto dal Jobs Act?
Oggi il giudice, dopo aver accertato l’illegittimità del licenziamento disciplinare, deve verificare se il fatto materiale addebitato era inesistente, e se tale fatto è sanzionato dal contratto collettivo applicabile al rapporto con una misura meno grave del licenziamento. Se la risposta a una delle due domande è positiva (quindi, il fatto era inesistente oppure il ccnl lo sanziona con misure più morbide del licenziamento) il giudice deve disporre la reintegra, e in aggiunta dare un risarcimento in misura non superiore a 12 mensilità. Se invece la risposta è negativa ad entrambe le domande, il giudice non ripristina il rapporto di lavoro ma condanna il datore al pagamento di un’indennità economica che varia tra le 12 le 24 mensilità.
Il Jobs Act vuole mantenere questa impostazione, ma semplificarla, identificano con maggiore precisione i casi nei quali scatta la reintegra. In concreto, le soluzione che saranno adottate su questo punto saranno note soltanto in occasione dell’emanazione dei decreti legislativi attuativi della legge delega.
In caso di licenziamento per motivi economici ritenuto illegittimo, che cosa succede oggi e che cosa è previsto dal Jobs Act?
Secondo la normativa vigente, se il datore di lavoro intende licenziare per giustificato motivo oggettivo deve attivare una procedura amministrativa presso la DTL, durante la quale viene provata la conciliazione tra le parti. Se la conciliazione fallisce, il datore di lavoro può licenziare. Se il giudice considera infondato il licenziamento, perchè non esistono i motivi economici addotti (ma anche se non viene accertato l’adempimento del cd obbligo di repechage), non ripristina il rapporto di lavoro ma condanna il datore al pagamento di un’indennità economica che varia tra le 12 le 24 mensilità.
Se il giudice ritiene che il motivo del recesso sia manifestamente infondato (concetto, questo, alquanto difficile da interpretare, in quanto non è chiara la differenza con il recesso “semplicemente” infondato), il giudice deve disporre la reintegra, e in aggiunta dare un risarcimento in misura non superiore a 12 mensilità.
Il Jobs Act mira a cancellare questa ultima ipotesi (manifesta insussistenza del licenziamento economico), e rimodulare le somme spettante per i casi ordinari di recesso per giustificato motivo oggettivo.
Quali regole si applicano ai licenziamenti collettivi?
Un licenziamento si definisce collettivo quando si fonda su ragioni organizzative ed economiche, e interessa almeno 5 lavoratori nell’arco di 120 giorni, per imprese con più di 15 dipendenti. Se ricorrono queste condizioni, il licenziamento può essere intimato solo al termine di una procedura sindacale della durata di circa 75 giorni. Se il licenziamento è viziato perchè non sono rispettati i criteri di scelta dei lavoratori, si applicano le regole del licenziamento disciplinare assistito da reintegra. Se invece il recesso è infondato perchè non sussistono i motivi economici e organizzativi, si applicano le regole previste per il recesso per giustificato motivo oggettivo.
In quali casi, oggi, è prevista la reintegra del lavoratore sul posto di lavoro il cui licenziamento è stato riconosciuto illegittimo? Cosa cambia con il Jobs Act?
Oggi la reintegra spetta per i licenziamenti economici manifestamente infondati, per i licenziamenti disciplinari basati su un fatto inesistente o sanzionato dal ccnl con misure meno gravi, per quelli intimati in violazione delle norme che tutelano la salute, la maternità e altre ipotesi particolari, e – infine – per quelli fondati su motivi discriminatori.
Da quando entreranno in vigore le nuove regole sui licenziamenti?
Ancora non è possibile stabilire una data. Dovrà essere approvata la legge delega e, subito dopo, il Governo dovrà emanare i decreti legislativi attuativi.