Articolo 18, attenzione ai possibili pasticci dell’Ufficio Complicazione Affari Semplici

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La discussione sull’articolo 18 è ancora molto politica. Il Governo e i sindacati – soprattutto la Cgil – si fronteggiano a colpi di slogan, come è fisiologico che accada in un dibattito di questa natura.

La questione deve, tuttavia, iniziare ad essere affrontata anche sul piano tecnico, perchè il rischio che si commettano pasticci è dietro l’angolo.

Anche chi ritiene che non sia un sacrilegio toccare l’articolo 18, deve fare i conti con un problema che il Governo e la maggioranza che lo sostiene non possono sottovalutare: l’attuale testo del JobsAct non parla mai di licenziamenti, statuto dei lavoratori e articolo 18, e quindi non basta per legittimare eventuali, futuri decreti attuativi sul tema.

Se si decidesse, quindi, di approvare il testo attuale della legge delega, avremmo un riforma costruita sulla sabbia: il decreto legislativo attuativo sarebbe presto portato in Corte Costituzionale, e questa avrebbe l’arduo compito di stabilire se c’è stato un “eccesso di delega”.

Sappiamo bene che per una corrente di pensiero, che annovera sostenitori molto autorevoli, il problema non esisterebbe, in quanto la delega parla di “introduzione di un contratto a tutele crescenti”; ma chiunque capisce la lingua italiana, non può negare che questa endiadi ha davvero poco a che fare con la riforma della normativa sui licenziamenti.

Il rischio di fare pasticci riguarda anche il contenuto delle nuove norme.

Circolano ipotesi di “semplificazione” che farebbero rimpiangere l’attuale normativa, e richiederebbero dai 3 ai 5 anni per essere capite e digerite dal sistema.

Bisogna fare attenzione a non cadere nella tentazione di reinventare per l’ennesima volta tutto, aumentando la complessità invece di ridurla.

Se si vuole applicare quanto deciso dalla Direzione del PD, è sufficiente ribadire in forma semplificata quanto già previsto dalla legge Fornero (che ha l’endemico vizio della complessità, ma già prevede quanto va ripetendo Renzi: reintegra solo per i licenziamenti disciplinari e discriminatori).

Per fare questo, sarebbe sufficiente ribadire la regola generale – una sola – che prevede l’indennizzo 12-24, e riscrivere in forma semplificate il regime speciale che, già oggi (ma con norme troppo complicate) prevede la reintegra per discriminazioni e fatti inesistenti; in particolare, sarebbe sufficiente togliere dalla norma che sanziona i recessi disciplinari quel complicato rinvio ai ccnl, che non ha funzionato, e cancellare l’incomprensibile regola della “manifesta insussistenza” per i licenziamenti economici.

Infine, in questo lavoro di semplificazione andrebbe omogeneizzata la disciplina sulle sanzioni civili e sull’aliunde perceptum, stabilendo una regola – e una sola – per i casi di indennizzo, e una regola – una sola – per i casi di reintegra.

Il tutto andrebbe realizzato dandosi un obiettivo che non è solo simbolico ma anche sostanziale: scrivere una norma che abbia una lunghezza inferiore di almeno il 30% rispetto a quella attuale.

L’Ufficio Complicazioni Affari Semplici è sempre al lavoro, e non ammetterebbe mai una riforma del genere; ma il successo o il fallimento della nuova normativa (come dimostra l’esito sfortunato della legge Fornero) dipenderà proprio dalla sconfitta di questo scomodo ma onnipresente “partito” occulto.

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