Mauro Soldera
Il lavoro sta cambiando ed in tanti aspetti il cambiamento è già attuale. Di certo, è chiaro già oggi che il lavoro di domani non sarà quello di ieri.
Si discute di una domanda di lavoro sempre più incentrata sulla specializzazione, sulla conoscenza, sulle competenze individuali e distintive, su profili innovativi capaci di portare grande valore aggiunto; una tendenza che per contraltare porta ad una riduzione sempre più significativa della domanda di lavoro ripetitivo, a basso contenuto di know-how e innovazione, meccanico, per dirla con una parola di sintesi, anche un po’ brutale ma in grado di richiamare una traiettoria sempre più evidente: la progressiva sostituzione delle macchine all’uomo in strati sempre più consistenti del lavoro finora conosciuto.
Si discute – su un piano diverso ma intrinsecamente legato al precedente – di un superamento ormai prossimo, se non addirittura attuale, delle logiche che separano lavoro subordinato e lavoro autonomo, come categorie ormai artificiali, incapaci di contenere l’identità attuale di tante espressioni del lavoro.
Si parla di passare dal “lavorare” al “collaborare”, come sintesi di un processo complesso che implica un cambiamento culturale profondo nelle logiche di relazione tra aziende e persone e tra le stesse persone, con il contributo determinante dei social media.
Le descrizioni, gli angoli visuali possono essere molteplici, ma è chiaro che il processo è già in corso.
Come è altrettanto chiaro che le regole poste a disciplina delle relazioni produttive si dimostrano sempre più spesso incapaci di interpretare, guidare e governare i cambiamenti in atto; fortemente ancorate ad un modello di lavoro in progressiva disgregazione.
Un esempio eclatante lo troviamo in tutte quelle circostanze in cui esigenze di varia natura portano alla rottura della ferrea simmetria: datore di lavoro/luogo di lavoro in azienda. Le nuove tecnologie hanno destrutturato con forza dirompente la necessaria centralità della presenza fisica nei luoghi di lavoro organizzati dalle aziende, tanto da trasformarla da circostanza data e imprescindibile a vincolo gravoso (per tempi, costi ed energie).
Questo è un fatto, ma altrettanto è un fatto che la centralità della scrivania in azienda costituisce tutt’oggi un assunto fondamentale dell’impianto complessivo delle norme del lavoro. Tanto che gli esperimenti di soluzioni diverse – con varie articolazioni ma normalmente raggruppate sotto la definizione di “smartworking” – sono appunto… esperimenti, più che un naturale e profittevole sfruttamento delle potenzialità generate da tecnologie ormai relativamente nuove. Esperimenti resi difficili, invece che “oliati” e accompagnati con intelligenza, da una serie di strettoie normative specchio di un mondo ampiamente superato o quantomeno non più unico. Non voglio sconfinare in dettagli tecnici e soprattutto dimenticare che il cambiamento culturale si mostra in questi ambiti ancora più prioritario e complesso di quello legale.
Su quest’ultimo tema non rimane che da sperare che il governo colga l’occasione di qualche spunto contenuto nella delega in via di approvazione (cd Jobs Act) per recuperare il Disegno di Legge a firma delle deputate Mosca-Tinagli-Saltamarini già presentato in Parlamento, consentendo così un deciso passo avanti.
Ma come si diceva, trattare delle norme non ci deve far perdere di vista il centro del bersaglio: come sempre, anche in questo passaggio l’evoluzione normativa acquista valore e capacità di incidere con efficacia sulla realtà dei fatti e delle relazioni solo se accompagnata da un cambiamento di paradigma culturale; solo una corrispondente evoluzione dei concetti di fiducia tra le parti del rapporto di lavoro, di responsabilità, di affidabilità, di contenuti della prestazione lavorativa, unita ad un adeguato sviluppo delle relazioni istituzionali che di fatto governano, “dall’alto”, lo svolgimento dei rapporti di lavoro, consentiranno alle nuove norme di indirizzare e riempire con profitto e fluidità le nuove identità del lavoro.
Su questo campo si sta muovendo con determinazione e passione un gruppo di lavoro che, sotto la bandiera di “SmartforExpo”, sta cogliendo l’occasione dell’evento più importante del 2015 per alimentare il dibattito su questi temi, raccogliere e condividere esperienze, coinvolgere attori, stimolare soluzioni.
Il bisogno immediato è di chiara evidenza e presto detto: contenere l’impatto di Expo sulla vita di tutti i cittadini e degli stessi partecipanti, riducendo gli spostamenti normalmente sostenuti dai lavoratori nelle aree interessate. L’obiettivo più ambizioso è quello di cogliere il trampolino di questa necessità temporanea per far fare al lavoro un passo definitivo verso il futuro.
Di seguito i loro riferimenti.