Licenziamenti collettivi, quelle trappole formali di cui non si occupa il JobsAct

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Paolo De Luca

 

Sembra che il legislatore del Jobs Act non abbia ravvisato la necessità di intervenire sull’attuale apparato sanzionatorio dei licenziamenti collettivi (art. 5, comma 3, Legge n. 223/1991).

Il tema, infatti, non risulta incluso nel disegno di legge delega approdato in Parlamento.

Sarebbe stato opportuno, tuttavia, avviare una riflessione sull’attuale disciplina, che presenta certamente margini di miglioramento. In linea di principio – almeno a parere personale di chi scrive –  può aver senso mantenere la reintegrazione piena (art. 18, comma 1, Legge n. 300/1970) per il caso di licenziamento intimato senza l’osservanza della forma scritta, e forse anche la reintegrazione attenuata (art. 18, comma 4, Legge n. 300/1970) in caso di violazione dei criteri di scelta (ma, in questa seconda ipotesi, una adeguata sanzione indennitaria potrebbe nondimeno risultare idonea ad assicurare maggiore flessibilità in uscita senza sottrarre diritti).

Maggiori perplessità suscita, invece, la portata della disciplina sanzionatoria delle violazioni formali. Il vigente art. 5, comma 3, della Legge n. 223 (tramite un singolare e pindarico doppio rinvio al terzo periodo del settimo comma dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, che a sua volta rimanda al quinto comma) prevede che le violazioni della procedura di licenziamento collettivo vengano sanzionate unicamente sotto il profilo economico con un’indennità risarcitoria compresa tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

Dal punto di vista teorico e sistematico, una sanzione così pesante potrebbe giustificarsi solo se tra le violazioni procedurali venisse inclusa anche l’omissione totale della procedura.

In questo caso – va detto – il datore di lavoro resterebbe comunque gravato dell’onere di provare sul piano sostanziale il rispetto dei criteri di scelta (prova certamente non agevole, ma almeno in teoria non impossibile) e si aprirebbero piuttosto profili legati agli effetti delle eventuale antisindacalità della condotta.

Va comunque detto che ove per violazione formale si intenda aprioristicamente qualunque vizio o errore commesso dal datore di lavoro nella gestione di uno dei tanti snodi procedurali della 223, la sanzione economica fino a 24 mensilità risulta oggettivamente sproporzionata, tenuto conto che potrebbe applicarsi anche ad un recesso intimato nel pieno rispetto dei criteri di scelta.

In tale ipotesi, pertanto, risulterebbe più razionale una sanzione economica compresa tra 6 e 12 mensilità, equivalente a quella prevista per le violazioni meramente procedurali nei licenziamenti individuali. Molti, dunque, sono gli spunti di riflessione che il legislatore potrebbe cogliere in una prospettiva realmente riformistica e di corretto bilanciamento tra diritti e flessibilità.

 

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