Alessandro Rota Porta
L’idea iniziale era un rilancio, quella che la prima versione del Jobs Act prevedeva con riferimento ai voucher per il lavoro accessorio: il passaggio al Senato e le solite mediazioni politiche hanno però annullato la portata innovativa della disposizione; anzi, si può affermare che – con questo quadro – l’intervento sulla materia da parte della legge delega di riforma del mercato del lavoro rimane più che altro uno spot.
Così come è stata formulata, la previsione legislativa appare un rimando pleonastico alle regole già vigenti, senza alcun restyling: al contrario, potrebbe profilarsi il rischio di fare un deciso passo indietro.
Il punto in questione dell’articolato propone, infatti, di “estendere il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio per le attività discontinue e occasionali nei diversi settori produttivi”. Dal lato normativo – nel sistema oggi in vigore – ci aveva già pensato la riforma Fornero a svincolare l’utilizzo dei buoni rispetto allo schema applicativo precedente, dove occorreva intersecare la presenza di specifici requisiti soggettivi ed oggettivi, al fine di valutare se lo strumento dei voucher era effettivamente applicabile.
Inoltre, la stessa legge 92/2012 aveva opportunamente individuato nel parametro economico (5mila euro massimi ad anno solare in capo al singolo prestatore, che si riducono a 2.000 nei confronti dei committenti imprenditori commerciali o professionisti) il discrimine per il corretto ricorso ai voucher, sanando una situazione di incertezza legislativa: dalla sua introduzione ad opera della legge Biagi, con riferimento ad alcune limitate fattispecie, i buoni erano via via stati estesi a utilizzi disparati, senza che però fossero chiari gli esatti confini della “occasionalità”.
La formulazione del Jobs Act, non solo non apporta modifiche sostanziali ma, appunto, potrebbe portare ad uno sgradito ritorno al passato, nel momento in cui si tornasse ad agganciarne il ricorso alle condizioni di “discontinuità” ed “occasionalità”. Si finirebbe, in sostanza, per ricollocare l’istituto in una zona d’ombra, dalla quale era riuscito faticosamente ad emergere.
Semmai, la legge delega poteva essere l’occasione per semplificare la gestione dei voucher: nati per le attività vendemmiali, i buoni sono ormai uno strumento diffuso che – sebbene abbiano eroso numeri ad altre forme di occupazione più onerose – sicuramente hanno contribuito a far affiorare rapporti di lavoro “in nero”.
Si sarebbe, quindi, potuto puntare ad uno snellimento burocratico, eliminando – ad esempio – il vincolo che limita l’utilizzo dei buoni ai 30 giorni successivi all’acquisto ovvero l’onere della denuncia preventiva di utilizzo, che potrebbe essere tracciata attraverso l’acquisto presso i rivenditori autorizzati.