Articolo 18: il progetto di Renzi va sostenuto, ma con queste norme rischia di fallire

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Lo diciamo da tempo: il problema del mercato del lavoro italiano NON è l’articolo 18.

Il problema è il “divieto di assumere”, quel groviglio inestricabile di norme, troppe, troppo complesse e troppo mutevoli, che rende difficile e rischioso un percorso che dovrebbe invece essere agevolato in tutti i modi, l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.

Eppure l’intervento sull’articolo 18 può servire, come gesto simbolico: rimuovere il pasticcio del 2012 (quando la legge Fornero da un lato tolse la reintegra in maniera quasi completa ma, dall’altro, scrisse una norma troppo compessa) sarebbe la testimonianza della volontà concreta di avviare le riforme del lavoro.

La valenza simbolica dell’operazione può aiutare a rimuovere il divieto di assumere a due condizioni: la prima, ovvia, è che non bisogna fermarsi all’articolo 18 ma bisogna andare a toccare i veri nodi del mercato del lavoro (la cattivà flessibilità, la proliferazione del lavoro precario, gli incentivi inefficaci, i servizi per l’impiego che non impiegano nessuno, il lavoro sommerso, il costo eccessivo del lavoro, ecc.).

La seconda, che dovrebbe essere altrettanto ovvia ma, purtroppo, non sembra esserlo, è che la nuova normativa dovrebbe essere tecnicamente ineccepibile, e quindi fondarsi su basi solide e dare la ragionevole speranza di non ripetere gli errori recenti della riforma Fornero.

Da questo punto di vista, i segnali che arrivano non sono rassicuranti.

Si legge dai giornali che il Governo intende approvare un “maxiemendamento” generico, affidando a una dichiarazione del Ministro Poletti il compito di spiegare quali saranno i contenuti del futuro decreto legislativo.

Uno schema del genere non appare realistico, come si può pensare di saltare a piè pari l’obbligo – sancito dalla Costituzione – di scrivere dei criteri di delega specifici? Se si procedesse in questo modo, avremmo un decreto legislativo che potrebbe essere portato davanti alla Corte Costituzionale e che rischierebbe seriamente di essere annullato.

E’ un rischio che non ci possiamo permettere, speriamo quindi che le indiscrezioni di stampa siano sbagliate.

Anche nei contenuti, le anticipazioni dei giornali suscitano qualche perplessità; se il grande progetto di riforma si risolvesse in qualche aggiustamento tecnico marginale, senza superare l’incomprensibile “doppio regime” introdotto nel 2012, il passo in avanti sarebbe solo formale, ma non sostanziale.

Nemmeno sembra auspicabile un intervento sull’unica parte della riforma del 2012 che ha funzionato, quella sui licenziamenti economici: l’ipotesi di prevedere, per questi licenziamenti, un risarcimento automatico, che prescinde dai motivi del recesso, sarebbe l’ennesima riforma insensata, scritta da chi non ha mai messo piedi dentro un’azienda, che si risolverebbe solo in un aumento del costo del lavoro senza alcuna riduzione del contenzioso (che continuerebbe su basi diverse).

In sintesi, l’invito che facciamo da questo piccolo blog a Matteo Renzi è quello di andare avanti, ma senza tradire quello spirito riformatore che caratterizza la sua azione di Governo e, quindi, senza cedere a compromessi che forse hanno un senso politico ma che potrebbero avere ricadute tecniche devastanti; sfuggire a questa tentazione sarebbe la vera discontinuità con il passato.

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