Andrea Maria Salerno
L’art. 2112 cod. civ. sul trasferimento d’azienda è sempre stato associato per la sua applicazione alla figura del datore di lavoro imprenditore società, e difficilmente si è ipotizzato alla sia applicazione per il di datore di lavoro associazione o ente.
Prima di rispondere se sia possibile o meno l’applicazione di tale istituto anche per tale particolare datore di lavoro occorre ripercorrere brevemente l’evoluzione dell’istituto negli ultimi anni.
Le principali modifiche sono intervenute a seguito della direttiva europea n. 187 del 1977, in cui gli Stati europei hanno inteso trovare una legislazione comune al fine di tutelare i lavoratori in caso di trasferimento di impresa.
A tale direttiva, a seguito di numerose sentenza della CGE[1], ne sono seguite altre due correttive ossia la n. 50 del 1998 e la 23 del 2001.
Il fine della direttiva del ‘77, ed in seguito anche delle successive, è sempre stato quello di garantire la massima tutela ai lavoratori a seguito di trasferimenti di azienda, che molto spesso, dissimulavano delle vere e proprie riduzioni di personali ponendosi quale ostacolo ad una corretta gestione del rapporto di lavoro.
Tutte le modifiche apportate alla direttiva del ’77 miravano, inoltre, a eliminare vincoli o definizioni eccessivamente restrittive al fine di convalidare il principio in base al quale indipendentemente dalla forma del datore di lavoro, indipendentemente dall’attività da esso svolta ed indipendentemente dalle modalità in cui avvenga il trasferimento, i diritti del lavoratore devono essere sempre garantiti.
Per tale finalità, infatti, il D.lgs 18 del 2001, a recepimento della Dirr. CE 50/98, ha modificato l’art. 2112 c.c. , introducendo un nuovo comma, ossia il 5° che recitava:
“Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d’azienda qualsiasi operazione che comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi, (omissis)”.
Tale comma ha ampliato a tal punto i soggetti destinatari della disciplina dell’art. 2112 c.c., che comprendeva sia le imprese classicamente definite sia tutti i soggetti che agiscano quale entità economicamente organizzate, indipendentemente, quindi, che esse abbiamo o meno scopo di lucro (guadagno), quest’ultimo fine principale per cui si fa impresa.
Tuttavia, veniva specificato che tali entità economiche organizzate avessero quale fine “lo scambio di beni e servizi”.
Tale specificazione, di fatto, comprometteva l’intenzione ed il principio fondante delle direttive, che miravano ad una maggior applicazione della tutela dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda.
A seguito della direttiva CE 23/2001, il legislatore italiano, al fine di adeguarsi alle nuove disposizioni, ha quindi provveduto ad attuare una ulteriore modifica dell’istituto attraverso l’art. 32 del D.lgs 276/2003.
L’articolo citato ha nuovamente modificato l’art. 2112 c.c. abrogando la parte che si riferiva allo scambio di beni e servizi.
La nuova, ed attuale, formulazione del comma 5° è quindi la seguente
“5. Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d’azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l’usufrutto o l’affitto di azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento”
Tale modifica, ha permesso di ampliare notevolmente i soggetti interessati al trasferimento d’azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c., tanto da individuare solamente col passaggio di un’attività economica organizzata la tutela prevista.
In altri termini, è indifferente il ruolo ovvero la qualità dei soggetti che pongono in essere il trasferimento[2], ciò che rileva è la struttura organizzativa che trasla da un datore di lavoro ad un altro.
Più volte la Cassazione ha affermato che, in caso dell’applicazione dell’art. 2112 cod. civ., si desse rilevanza all’organizzazione dell’attività piuttosto che all’attività medesima affermando, quindi, l’irrilevanza dell’attività del datore di lavoro in riferimento all’organizzazione strumentale che permette al datore di lavoro di svolgere la propria attività (fra le molte Cass. Civ., Sez. Lav., 22 dicembre 2011, n. 28312; cfr. anche Cass. Civ., Sez. Lav., 7 aprile 2008, n. 8989; Cass. Civ., Sez. Lav., 22 luglio 2004, n. 13677).
Tale principio è stato ripreso anche ultimamente dal Tribunale di Milano con la sentenza del 29 marzo 2013 Est. Dott.ssa Colosimo.
Con tale pronuncia si dava risalto non tanto all’attività del professionista, quanto piuttosto all’organizzazione di strumenti e personale orbitante intorno all’attività professionale, la quale non risultava predominante. Tuttavia il Giudice ha accolto l’applicazione dell’istituto nel caso di passaggio dello Studio professionale ad altro professionista.
Orbene, fatte tali premesse, in risposta al quesito formulato in premessa è possibile affermare che i soggetti a cui si deve applicare la disciplina ex art. 2112 cod. civ. comprende tutte quelle entità, quindi anche soggetti non imprenditori, siano esse, società, persone fisiche, enti, associazioni od organizzazioni, che svolgano la propria attività, qualunque essa sia[3], con o senza scopo di lucro, (quindi anche ONLUS ed in generale organizzazioni di tendenza) attraverso un’organizzazione economica, ossia con un’organizzazione di beni e persone.
Quindi oggetto del trasferimento è la traslazione dell’organizzazione economica del datore di lavoro, indipendentemente da chi esso sia.
L’organizzazione economica è essenzialmente l’organizzazione dei beni, in base ai quali l’ente esercita la sua attività.
I beni possono, così organizzati, possono essere materiali o immateriali (Cass. 5678/2013 conf. Cass. 20422/2012) ed in base all’art. 2112 c.c. possono essere anche unicamente gruppi di lavoratori.
Orbene premesso quanto sopra, nulla dicendo la legge a contrario, l’applicazione del’art. 2112 c.c. è ammissibile anche fra le c.d. organizzazioni di tendenza qualora queste ultime siano dei datori di lavoro e si avvalgano, per lo svolgimento della propria attività senza scopo di lucro, di un’organizzazione di mezzi e strumenti, siano essi beni materiali, immateriali o gruppi di dipendenti.
[1] Fra le molte si veda anche CGE del 26 settembre 2000, n. C-175/99,
[2] Ovviamente l’alienante deve essere il datore di lavoro
[3] Come ricordato è stato eliminato la formula restrittiva che indicava tali unicamente i soggetti interessati tutti quegli enti che svolgevano attività di produzione di beni o scambio di servizi.