Articolo 18, dopo oltre 20 anni parola fine alla disputa giurisprudenziale sull’indennità sostitutiva.

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La rinuncia alla reintegrazione sul posto di lavoro (conseguente a licenziamento illegittimo) in favore del pagamento dell’indennità sostitutiva di 15 mensilità determina l’immediata risoluzione del rapporto di lavoro; pertanto, l’eventuale ritardo del datore di lavoro nel pagamento dell’indennità non comporta la permanenza in vita del rapporto di lavoro e la decorrenza dell’obbligazione retributiva.
Con questa pronuncia le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent. 18353 depositata ieri) mettono la parola fine ad uno dei dibattiti giurisprudenziali più accesi degli ultimi anni. Questo dibattito è stato sopito solo in parte dalla legge Fornero del 2012, che ha chiarito che la richiesta di pagamento dell’indennità sostitutiva della reintegra determina l’immeditata risoluzione del rapporto di lavoro. L’affermazione del principio dovrebbe evitare che i licenziamenti intimati dopo l’entrata in vigore della riforma (quindi dopo il 18 luglio del 2012) siano investiti dal contrasto interpretativo, ma non ha risolto il problema per tutte quelle cause – molto numerose – regolate dalla vecchia disciplina.
La vicenda, come accennato, ruota intorno al meccanismo, previsto dall’articolo 18 (vecchio e nuovo) dello Statuto, che consente al lavoratore che ha ottenuto una sentenza di reintegrazione sul posto di lavoro, di optare per una soluzione diversa dal rientro in servizio: il pagamento di una somma (che si aggiunge al risarcimento del danno) di importo pari a 15 mensilitá della retribuzione globale di fatto. Il problema sul quale si è creato il lungo e, fino ad oggi, irrisolto contrasto giurisprudenziale riguarda l’esatta individuazione del momento nel quale la scelta del lavoratore determina la risoluzione del rapporto.
Per dare risposta a questo problema si sono formati, nel tempo, due orientamenti, che hanno visto l’adesione trasversale di diverse corti di merito e di diverse sezioni della Corte di Cassazione. Secondo una prima interpretazione, avallata da una pronuncia della Corte Costituzionale (sent. 4 marzo 1992, n. 81), la norma contenuta nell’articolo 18, nella versione modificata nel 1990, configura una “obbligazione con facoltà alternativa del creditore”, in virtù della quale il rapporto di lavoro non cessa con la semplice manfestazione della volontà di percepire l’indennità sostitutiva ma, piuttosto, si estingue solo al momento in cui l’indennità sostitutiva viene effettivamente pagata. L’effetto di questa lettura è che, fino al pagamento delle 15 mensilità, il datore di lavoro deve continuare a pagare le retribuzioni al lavoratore, che resta a tutti gli effetti un suo dipendente.
Questa lettura per molti anni è stata applicata senza problemi dalla giurisprudenza, ma ad un certo punto, si è affacciata un’interpretazione opposta. Seconda questa interpretazione (avviata dalla sentenza della Cassazione n. 10283 del 16 ottobre 1998 e sviluppata da numerose decisioni successive), il rapporto di lavoro cessa al momento della dichiarazione di scelta del dipendente, senza che sia necessario attendere l’effettivo pagamento dell’indennità sostitutiva. Inizialmente la giurisprudenza ha comunque riconosciuto il diritto al risarcimento del danno per il periodo successivo all’opzione ma, in seguito, ha sviluppato il ragionamento, fino ad affermare che, essendo cessato il rapporto, non spetta alcun risarcimento commisurato alle retribuzioni per il predetto periodo.
L’effetto di questa lettura, diventata maggioritaria in Cassazione, è notevole. Un eventuale inadempimento (o ritardo) del datore di lavoro non fa aumentare il credito retributivo per il dipendente nè allunga la durata del rapporto, che deve considerarsi irrimediabilmente risolto: il lavoratore può, quindi, rivendicare solo gli interessi sulla somma delle 15 mensilità.
La vicenda è resa più complessa dal fatto che le corti di merito hanno strenuamente difeso l’interpretazione proposta dalla Consulta con la sentenza del 1992, alimentando il livello di conflittualità interpretativa della materia.
Le Sezioni Unite sembrano finalmente mettere la parola fine alla vicenda, indicando quale deve essere l’interpretazione delle norme in questione. Secondo la sentenza, il rapporto di lavoro si estingue nel momento in cui il datore di lavoro riceve la dichiarazione del lavoratore che sceglie per l’indennitá sostitutiva; nel periodo che passa tra l’opzione e il pagamento effettivo, il ritardato adempimento viene regolato dalle norme sui crediti pecuniari del lavoratore (interessi legali e rivalutazione monetaria). Abbiamo detto che la pronuncia riguarda solo i licenziamenti intimati prima della norma chiarificatrice del 2012: le Sezioni Unite non mancano di ricordare che anche la nuova norma va letta nello stesso modo, con il chiaro intento di prevenire che insorgano nuove e strumentali questioni su una disciplina nata per fare chiarezza.

Il Sole 24 Ore 28 agosto 2014, G. Falasca

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