Estratto dell’articolo di Claudio Tucci, Il Sole 24 Ore, del 19.08.14
Il governo pensa ad “aggiornare” lo Statuto dei lavoratori, scritto nel lontano 1970, e oggi, in alcune punti, poco aderente alle nuove realtà produttive, più moderne e aperte alla logica del modello europeo della flexecurity. Il sasso nello stagno l’ha lanciato direttamente il premier, Matteo Renzi; e dopo il decreto Poletti che è intervenuto sulla flessibilità in entrata (semplificando la normativa su contratti a termine e apprendistato), la sfida, ora, è quella di occuparsi della flessibilità in uscita (e quindi, articolo 18, dopo le incertezze interpretative che sono venute fuori dopo le modifiche operate dalla legge Fornero del 2012). Ma soprattutto è il momento di affrontare nel ddl delega, che a settembre riprenderà l’esame in commissione Lavoro del Senato, anche la più complessiva “flessibilità nella gestione del rapporto di lavoro”. Vale a dire: flessibilità professionale, flessibilità degli orari di lavoro, strumenti tecnologici di controllo a distanza e variabilità delle retribuzioni. E qui entrano in gioco, da vicino, altre disposizioni della legge 300 (lo Statuto dei lavoratori). Non solo quindi articolo 18, anche se qui sarebbe opportuno pure specificare che la tutela reale della reintegra non trovi applicazione in caso di licenziamenti collettivi, visto che l’intera procedura è comunque già discussa con i sindacati (come sanzione dovrebbe rimanere solo quella risarcitoria).
Le imprese chiedono da tempo di aggiornare (semplificando) la disciplina dell’articolo 4 dello Statuto, che di fatto vieta, o limita tantissimo, l’uso di impianti audiovisivi o di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori (possono essere installati solo per ragioni di sicurezza o in pochissime altre eccezioni, sempre comunque previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali). Una norma emanata in tempi e con riferimento a un contesto tecnologico e produttivo tipico delle aziende degli anni ’70 e quindi completamente diverso da quello odierno. La disposizione “va pertanto aggiornata alle nuove tecnologie”, spiega Arturo Maresca, ordinario di diritto del lavoro alla “Sapienza”. Negli anni anche il Garante della privacy ha emanato una serie di direttive per meglio definire le modalità con cui il datore di lavoro può controllare i propri dipendenti. E’ sufficiente quindi riscrivere l’articolo 4 integrandolo con queste pronunce del Garante della privacy.
Più delicato è invece il nodo delle mansioni, disciplinato oggi dall’articolo 13 dello Statuto. Ma anche qui con poca aderenza al nuovo mercato del lavoro. Per come è scritta la disposizione (che modifica l’articolo 2103 del codice civile) le imprese lamentano di e diverse problematiche: è molto difficile cambiare le mansioni del dipendente, anche se quelle nuove sono equivalenti, ed è vietato – a pena di nullità – assegnare un lavoratore a mansioni inferiori. Lo Statuto, in sostanza, immagina delle carriere professionali ingessate e che possono solo crescere, senza ammettere la possibilità che durante un percorso lavorativo ci possano essere dei cambiamenti o degli arretramenti (che invece sono fisiologici, specie in un mercato del lavoro che cambia così rapidamente).
Un piccolo segnale in questo senso è arrivato dalla recente riforma Madia della pubblica amministrazione che, innovando in materia, ha ammesso, per salvaguardare il posto di lavoro, la possibilità di “demansionare” il lavoratore fino a un livello inferiore. Nel privato, prima di licenziare una persona, la giurisprudenza impone al datore di lavoro l’obbligo di “repechage” (cioè il ripescaggio dell’interessato all’interno della struttura aziendale). Sulle mansioni si potrebbe intervenire considerando assolto il repechage mediante l’affidamento di mansioni inferiori. Sarebbe un mediazione tra impresa e lavoratore, sottolinea Roberto Pessi, professore di diritto del lavoro alla Luiss: “Prima di sopprimere la posizione il datore dovrebbe essere tenuto a esplorare il repechage e questo obbligo si dovrebbe considerare assolto anche assegnando il lavoratore a un livello inferiore. Così, facendo un esempio, se si chiudesse un posto da cassiere, si potrebbe adibire la persona a commesso, garantendo in questo modo maggior sicurezza e al tempo stesso più flessibilità nell’organizzazione del lavoro”.
Secondo Giampiero Falasca, avvocato partner di DLA Piper Italy “anche la contrattazione collettiva dovrebbe fare la sua parte. Molte norme contengono decisi rinvii agli accordi, anche aziendali, consentendo già oggi alle parti sociali di riscrivere pezzi importanti dello statuto; serve più coraggio nell’utilizzo di questo “potere” normativo”.