La riforma del pubblico impiego appena varata dal Parlamento riscrive le regole della mobilità obbligatoria e volontaria del personale.
La modifica si realizza mediante la riscrittura dei commi 1 a 2 dell’art. 30 del Testo Unico Pubblico Impiego (decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165); la nuova disciplina rende più semplici i percorsi di trasferimento volontario, da un lato, e più agevoli quelli di trasferimento obbligatorio, dall’altro.
Secondo la nuova disciplina, le pubbliche amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante passaggio diretto di dipendenti, qualora abbiano una qualifica corrispondente a quella necessaria e siano in servizio presso altre amministrazioni. Il passaggio si attua a condizione che i dipendenti facciano domanda di trasferimento, e che
l’amministrazione di appartenenza dia il proprio assenso all’operazione.
Per agevolare la diffusione delle opportunità e la conoscenza dei posti vacanti, le amministrazioni devono pubblicare sul proprio sito istituzionale, per un periodo pari almeno a trenta giorni, un bando in cui sono indicati i
posti che intendono ricoprire attraverso passaggio diretto.
Il bando deve indicare anche i requisiti che deve
possedere il personale interessato al passaggio.
La legge prevede, in via sperimentale, e fino all’introduzione di nuove
procedure per la determinazione dei fabbisogni di personale, che per il trasferimento tra le sedi centrali di differenti ministeri, agenzie ed enti pubblici non economici nazionali non e’ necessario l’assenso dell’amministrazione
di appartenenza. Quando ricorre questa ipotesi, il trasferimento deve essere attuato entro due mesi dalla richiesta dell’amministrazione di destinazione.
Per agevolare le procedure di mobilita’ il Dipartimento
della funzione pubblica deve istituire un portale finalizzato
all’incontro tra la domanda e l’offerta di mobilita’.
Una volta attuato il trasferimento,
l’amministrazione di destinazione deve provvedere alla
riqualificazione dei dipendenti trasferiti, avvalendosi, ove necessario, della Scuola nazionale dell’amministrazione.
La riforma contempla una seconda modalità di trasferimento, che a differenza da quella appena vista si attua a prescindere dalla volontà del dipendente.
Secondo la nuova normativa, i dipendenti pubblici possono essere trasferiti all’interno della stessa amministrazione o, previo accordo tra gli enti interessati,
in altra amministrazione, qualora la sede iniziale e quella finale si trovino nel territorio dello
stesso comune. Il trasferimento può essere attuato anche quando, pur non trovandosi nello stesso comune, le due sedi si trovino a distanza non superiore a cinquanta chilometri. In questi casi, quindi, il dipendente non può opporsi la trasferimento (con alcune eccezioni, per i fruitori di congedi parentali e dei permessi previsti dalla legge 104).
Rispetto a questa forma di trasferimento non si
applica, secondo la nuova disciplina, il terzo periodo del primo comma dell’art. 2103 del codice civile. Si tratta della norma che vieta il trasferimento da una unità produttiva ad un’altra in assenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.
La legge prevede la facoltà di emanare un decreto (a cura del Ministro per la
pubblica amministrazione) con cui definire i criteri da applicare per realizzare i processi di mobilità obbligatoria e volontaria. Si tratta di una semplice facoltà, e quindi la mancata adozione del decreto non condiziona la possibilità di attuare i trasferimenti. La legge, infine, dichiara nulli gli accordi, gli atti o le clausole dei contratti collettivi in contrasto con le disposizioni appena descritte.
(Giampiero Falasca Il Sole 24 Ore 20 agosto 2014)
La mobilità volontaria in sanità (come in tutta la P.A.) oggi è di fatto soppressa, dato che le aziende sanitarie non concedono il nulla osta a chi vince bandi per trasferirsi ed ignora di rispettare il preavviso di tre mesi!
Inutili anni di lotte e di contrattazioni nazionali… inutili i sindacati ed inutili gli ordini professionali… Tutto cancellato! Si rimane prigionieri e condannati in esilio dalle proprie famiglie, anche quando il tuo trasferimento non danneggia l’azienda di appartenenza, che gode ad esercitare solo uno sterile esercizio di potere fine a se stesso… Complimenti alla riforma della PA! Danneggiando i dipendenti, si danneggiano anche le aziende e la Nazione, non credete? Si continui pure ad opprimere il popolo… avanti! Tanto fra un po’ in Italia rimarrano solo i vecchi e gli extracomunitari di passaggio…!
P.S.: Finiamola con la storia che se la mobilità fosse più agevole si avrebbe un ritorno in massa dei lavoratori dal Nord al Sud…
Prima di tutto, molti di quelli, che hanno trovato lavoro al Nord (o anche all’estero) si trovano bene e non intendono tornare.
In secondo luogo il flusso dei lavoratori si autoregolerebbe, un po’ come succede nel commercio, secondo la legge della domanda e dell’offerta. Io che scrivo ho provato per 8 anni a tornare a casa al Sud, ma non c’è riuscito, perché non c’erano posti disponibili… e questo proprio perché: meno popolazione = meno posti di lavoro! Ora che invece potrei farlo a buon diitto, l’azienda per cui lavoro non mi lascia andare!
Quindi, sarebbe ora di finirla anche con il reiterare l’annuncio demagogico della volontà di far ripartire il Sud… senza crearvi posti di lavoro ed impedendo alla gente di tornare, anche quando questo fosse possibile… è un gatto che si morde la coda!
Sì è cominciato con l’unità d’Italia a mortificarte il Sud, provocando la chiusura di fiorenti aziende (è tutto documentato, anche se i libri di storia adottati nelle nostre scuole non ne parlano!), per far spostare la forza lavoro verso le zone d’interesse dei governanti dell’epoca (Savoia & Co.)… Il tutto in una visione a dir poco miope e che paghiamo ancora oggi!
L’Italia è fondata sul lavoro, ma anche sulla famiglia (o almeno dovrebbe)… chi lavora lontano dai suoi affetti lavora male ed è costretto a tirare la cinghia… la Nazione soffre, perchè soffre la famiglia… soffre la gente!
Il libero circolo delle persone, anche e soprattutto nel lavoro, si autoregola e porta benessere, come il libero circolare del denaro… Provate a tenere i soldi fermi… l’austerity docet!
Sulla scia delle attuali riforme ecco la prossima vera grande rivoluzione che mi aspetto da questo governo così innovativo, giovane, burocraticamente snello e la sua politica del fare…
La mobilità volontaria in sanità (come del resto in tutta la P.A.!) è di fatto soppressa, dato che le aziende sanitarie non concedono il nulla osta a chi vince bandi per trasferirsi! Non sono nemmeno più tenute a rispettare il preavviso di tre mesi, quel congruo periodo, che una volta esisteva e andava speso per reperire eventuale sostituzione in luogo del personale ceduto! Inutili anni di lotte e di contrattazioni nazionali… inutili i sindacati ed inutili gli ordini professionali… Tutto cancellato! Si rimane prigionieri e condannati in esilio dalle proprie famiglie, anche quando il tuo trasferimento non danneggia l’azienda di appartenenza, che gode ad esercitare solo uno
Bisogna lottare per il reintegro ed il rispetto delle norme contrattuali: i termini di PREAVVISO!!! Perfino il mandato del Presidente della Repubblica è “a termine”, perfino la notifica delle multe ha una scadenza utile. Non è possibile che le aziende non siano più soggette a termini da rispettare! Il preavviso era una cosa giusta, ma ora non vale. Ti tengono finché non trovano il sostituto, che NEMMENO CERCANO! E se non pubblicano bandi di concorso o di mobilità volontaria (che si scontrerebbe contro l’ostruzionismo di qualche altra azienda), per risolvere il problema è perché non hanno un termine da rispettare nemmeno per questo e quindi non sono neppure sanzionabili!
Dinanzi ai “nuovi modelli” di bando di mobilità volontaria, pubblicati di recente da tante aziende sanitarie, nei quali si pone come requisito fondamentale (pena esclusione delle domande), la presentazione di un’attestazione preventiva di assenso al trasferimento da parte dell’amministrazione di appartenenza, sorge spontaneo un dubbio atroce…
Sarà magari tale procedura un tantinello incostituzionale?
In sostanza si introduce una disparità tra cittadini italiani (o europei) in possesso dei requisiti professionali richiesti e necessari, senza pendenze o carichi penali, nel pieno godimento dei diritti civili… da una parte chi ha questa dichiarazione preventiva di assenso e dall’altra chi non la possiede…
Ricordando che tale assenso non è un valore certo (come un diploma, una condanna, la maggiore età, la cittadinanza, ecc.), ma un qualcosa di aleatorio, legato all’umore o all’umanità o alla ragionevolezza o al capriccio o meno di questa o quella azienda… Domanda: è ammissibile un tale requisito (scusate il gioco di parole) di ammissibilità ad un concorso o bando?
Anche per gli italiani il diritto al RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE! Il diritto è riconosciuto dalla nostra Costituzione, da varie Convenzioni europee ed internazionali, dalla Convenzione dei diritti del fanciullo, da Direttive CE e dal T.U. del D.Lgs 286/98 – come modificato dalla Legge 5/2007 di recepimento della Direttiva CE 2003/86…
Anche noi vogliamo stare con le nostre famiglie!
Basta all’ostruzionismo irragionevole delle aziende alla mobilità volontaria!