Come riformare un mercato del lavoro bloccato dal divieto di assumere. L’intervista di G. Falasca a Wired – @wireditalia – di @nicoladituri

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Da wired.it, @nicoladituri

«Il decreto Poletti va nella giusta direzione. In Italia però non serve più flessibilità sul mercato del lavoro, ma solo regole più semplici. Siamo dei “complicatori” seriali». È costretto a coniare un neologismo, Giampiero Falasca, «per dare sfogo all’oppressione di cui è vittima il lavoro in Italia». Secondo l’avvocato e giuslavorista, autore del saggio Divieto di Assumere (Edizioni Lavoro, Roma, 2014) già Premio Voltaire per la saggistica, «sono soprattutto i 15 mila precetti del diritto italiano a immobilizzare il lavoro, rendendo difficili le assunzioni, non la flessibilità in entrata e uscita». Insomma, rendere più facili i licenziamenti non sarebbe di per sé la strada giusta per favorire l’occupazione. E neanche gli 80 euro al mese in busta paga approvati mercoledì nel ddl Irpef e la riduzione dell’Irap per le imprese, «faranno scalare all’Italia la montagna che ha di fronte». Non solo flessibilità e tasse, però, anche giovani, mini job tedeschi e giustizia del lavoro tra i temi che l’autore ha accettato di affrontare nell’intervista concessa a Wired.

 

«Per favorire le assunzioni non bisogna prima consentire alle aziende di poter licenziare più facilmente», si sente spesso. È proprio così? 

«Non sono necessarie altre regole che portino più flessibilità, ce ne vogliono di più semplici e stabili. Quando si parla dell’articolo 18 mi sembra di assistere al dibattito sul dito e la Luna, perché il vero problema in Italia sono i 15 mila precetti che regolano il lavoro. Le norme mutano in continuazione, l’apprendistato dal 2011 ad oggi è cambiato 11 volte e un giudice domani potrebbe interpretare la legge ancora diversamente. Le imprese chiedono regole meno interpretabili. Non invoco un’altra riforma dell’articolo 18, dal momento che anche quella del 2012 è interpretabile e non si capisce. È previsto il risarcimento quando il licenziamento è solo infondato, mentre c’è il reintegro se la causale è manifestamente insussistente. Qualcuno mi spiega la differenza tra una cosa che non esiste e una che non esiste assolutamente?».

 

Come abbiamo scritto su Wired, riportando dati Ocse, Italia e Germania hanno indici simili per quanto riguarda la protezione del lavoro. Eppure i tassi di disoccupazione sono ben diversi, a favore dei tedeschi. Questo confermerebbe la sua tesi: la flessibilità di per sé non crea occupazione. 

«Sono d’accordo con lo studio citato. In Italia c’è anzitutto troppo disordine, imposto da regole scritte male. Serve meno precarietà e più flessibilità buona, oltre a contrastare assolutamente la melassa di processi e contratti tra partite iva, apprendistato, tempo determinato, tempo indeterminato. Ma la chiave è la competitività sulle regole. Se licenzio una persona, devo sapere entro un anno se ho fatto bene, invece le imprese straniere sanno che abbiamo 4 gradi di giudizio e su questo il nostro sistema non è competitivo. La Germania ha retribuzioni più alte e investe sul lavoro standard, mentre da noi impazzano le false collaborazioni, anziché ridare produttività al lavoro. Robert Reich, ex segretario al lavoro durante la presidenza di Bill Clinton, ha pubblicato un libro negli Stati Uniti dimostrando come ormai i capitali cerchino le teste, perciò è necessario investire in formazione. Io aggiungerei anche le regole».

 

Chi sono i nemici dell’occupazione in Divieto di Assumere? I sindacati siedono al banco degli imputati? 

«La questione è un po’ più ampia e ha a che fare con la nostra cultura giuridica, dal momento che ormai la nostra vita pubblica è stata complicata in maniera verbosa. A New York ti siedi al parco e il wi-fi funziona, in Italia non riusciamo a farlo nonostante abbiamo già approvato 3 leggi nel merito della questione. Noi iamo dei “complicatori”, così diventiamo i primi nemici dell’occupazione. Le aziende vanno in Polonia non solo perché il costo del lavoro è più basso, ma anche per la semplicità delle regole. Il sindacato opportunamente si preoccupa di tutelare i propri iscritti, che essendo in maggioranza anziani, sono dotati di tutele molto robuste. Oggi invece il mercato produce per la maggior parte lavori non standard, ma anche le imprese devono avere il coraggio di scegliere la flessibilità buona. Vi assicuro che la variabile costo conta, ma si va in Polonia anche perché le regole semplici contano altrettanto».

 

Il fenomeno delle delocalizzazioni non dipende soprattutto dal diverso costo del lavoratore da Paese a Paese?

«Sì, ma meno di quanto si pensi. Nel libro faccio un esempio: seguo un’azienda nel nord-est nota perché paga bene i suoi lavoratori e i sindacati sono molto presenti al suo interno. Eppure in 5 anni ha speso qualcosa come 2,5 milioni di euro in contenziosi con le agenzie di somministrazione del lavoro. Solo un caso? Di certo con quella somma l’imprenditore avrebbe potuto acquistare un macchinario per l’azienda, anziché pagare avvocati. Ma certamente esistono aziende meno sane che competono contro le altre violando le regole, così resta difficile spiegare agli europei perché abbiamo una percentuale così alta di lavoro nero».

 

Il tasso di disoccupazione in Italia è pari al 12,7%, mentre in Germania è fermo al 6,7%. Qual è la ricetta per creare occupazione suggerita in Divieto di Assumere?

«Anzitutto, dal momento che le aziende protestano, credo sia giunto il momento di richiamarle alle loro responsabilità, rivedendo in maniera incisiva gli incentivi statali distribuiti come coriandoli. Secondo alcune stime, sarebbero pari a 30 miliardi di euro. Propongo di cancellarli tutti e spostarli subito sul costo del lavoro, riducendolo. Vanno bene gli 80 euro, e anche la riduzione dell’Irap sulle imprese, ma se devo scalare una montagna non servono provvedimenti simili. il problema resta sempre lo stesso: l’azienda versa 3 mila euro e al lavoratore ne restano 1500. Poi c’è l’aspetto normativo, di cui si è già detto. Infine è necessario lavorare sull’istruzione secondaria e universitaria, dal momento che le scuole mettono sul mercato professionalità diverse da quelle richieste. Durante i colloqui chiediamo ai candidati se parlano inglese, e molti 24enni rispondono: “Così, così, ma mi metto a posto in due settimane”».

 

Il decreto Poletti va nella giusta direzione per combattere la disoccupazione giovanile?

«Il decreto approvato recentemente mi trova d’accordo, poiché prende una regola stupida e la sostituisce con intelligenza. La causale da specificare per il licenziamento poteva piacere a un giudice e all’altro no, mentre la sua eliminazione fa venire meno il contenzioso, introducendo il tetto del 20% ai contratti a termine per ciascuna azienda. È senza dubbio un segnale da sviluppare in maniera decisa, Renzi e Poletti hanno avuto coraggio a cancellare la causale, un pretesto che consentiva a tutti di fare causa, con il giudice che di volta in volta decideva sulla sua validità. Ma il decreto va integrato al più presto con l’annunciato Jobs Act».

 

Dopo la riforma Schroeder, la Germania ha creato circa 5 milioni di nuovi posti di lavoro in meno di 10 anni. I mini job tedeschi funzionerebbero anche in Italia, o sono lavori che di fatto esistono già?

«Nel nostro Paese c’è già una giungla di piccoli lavori che tuttavia andrebbe regolamentata. Per fatturare un’ora di ripetizioni abbiamo 9 possibili forme di contratto con 9 diversi regimi fiscali. Il ministro Poletti pare voglia liberalizzare questi piccoli lavori, e va fatto al più presto per ridurre il tasso d’inattività. Il legislatore deve tirare fuori di casa chi non lavora, il voucher si serve di una procedura complicata, mentre l’introduzione dei mini job può essere un elemento di dinamismo occupazionale. Ricordiamoci sempre che la maggioranza degli italiani non lavora».

 

A livello quantitativo, i mini job sono serviti alla Germania per aumentare il numero di occupati. Ma più quantità, non significa sempre più qualità, e per legge questi lavori vengono pagati con un tetto massimo di 400 euro. 

«C’è un problema evidente di qualità, ma tutto dipende dalla regolamentazione adottata. I tetti sono necessari, ad esempio proporrei di circoscrivere dentro questo regime tutti i lavori per i quali si guadagnano fino a 10 mila euro l’anno, o si lavora per 60 giornate al massimo. Lavorando per più giorni, diventerebbe obbligatorio passare a contratti normali, come d’altronde viene specificato anche nella delega al decreto Poletti. Di certo non posso pagare un impiegato con il voucher, ma se la Germania li ha introdotti, con soglie di questo genere i mini job potrebbero funzionare anche in Italia».

 

Perché le regole del mercato del lavoro italiano danneggiano l’occupazione?

«C’è un caso emblematico della palude italiana, che cito nel libro. Sapete che Costa Crociere non è ancora riuscita a licenziare Francesco Schettino? Il processo si è “incagliato”, e ad oggi non è stato ancora possibile fare una sola udienza di merito sul licenziamento, perché ancora non si è capito se Costa ha seguito il giusto rito per procedere contro il suo comandante. In Cassazione, insomma, capiremo solo come dover procedere per licenziarlo, ma non scommetterei su Costa che riuscirà a licenziarlo».

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