La proporzionalità della sanzione disciplinare: nota a Cass. 12806/14

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Andrea Maria Salerno

in tema di Licenziamento disciplinare, la valutazione dell’evento.
Con la sentenza in commento i Giudici di piazza Cavour hanno affrontato la questione della legittimità di un licenziamento disciplinare irrogato a seguito di un singolo fatto commesso da una dipendente nell’arco di quasi 31 anni di irreprensibile attività lavorativa.
Il caso riguardava una lavoratrice di un Comune delle Marche, educatrice di prima infanzia, licenziata per essersi assentata ingiustificatamente per otto giorni lavorativi, nonostante il diniego delle ferie comunicatole dal proprio datore di lavoro. La difesa della dipendente si è articolata su due punti, ossia, l’errata qualificazione del licenziamento per inadempimento e la sproporzionalità della sanzione in considerazione sia della violazione del principio di correttezza e buona fede sia dell’impeccabile storia lavorativa della dipendente di durata più che trentennale.
La Suprema Corte, confermando la sentenza di secondo grado, ha respinto le doglianze della ricorrente affermando l’irrilevanza della qualificazione del licenziamento per inadempimento e la corretta irrogazione della massima sanzione da parte del Comune a seguito di una corretta valutazione sia dell’elemento soggettivo che oggettivo.
La sentenza risulta interessante in quanto offre un ulteriore spunto valutativo in merito all’elemento soggettivo, in base al quale valutare la proporzionalità di una sanzione disciplinare ed in particolare di quella massima.
La Suprema Corte dopo aver superato agilmente l’esistenza del fatto punibile, valutando che il licenziamento era previsto quale sanzione per l’assenza ingiustificata superiore a tre giorni, così come indicato dal d.lgs 165/2001 art. 55 quater (disciplina relativa all’ordinamento del lavoro delle amministrazioni pubbliche), ha correttamente convalidato l’atto datoriale ritenendolo proporzionato al fatto commesso.
A tale scopo gli ermellini hanno posto a fondamento della propria convinzione la ferma decisione della ricorrente di non accettare il diniego delle ferie. Tale evidente volontà oppositiva alla decisione datoriale è stata considerata dai Giudici un rilevante atto di insubordinazione.
Tanto più, continua la Corte, che il fatto di aver un’anzianità di servizio così elevata e di non aver mai riportato precedenti sanzioni rende l’atto di insubordinazione ancora più rilevante in quanto avente un alto impatto ambientale in relazione all’influenza che tale condotta avrebbe avuto nei confronti delle dipendenti più giovani.
Su tali considerazioni si è formato il convincimento della Suprema Corte che ha ritenuto anche un solo atto di insubordinazione valido a far incrinare il rapporto fiduciario, e quindi tale da determinare la risoluzione del rapporto di lavoro.
La giurisprudenza si è sempre soffermata sull’aspetto soggettivo al fine di valutare la proporzionalità della sanzione ex art. 2106 cod. civ. (Cass. L. 7 luglio 2006 n. 15491; T. Ravenna 18 marzo 2013). Ed è quindi innegabile che, qualora l’aspetto intenzionale di disubbidienza, se non di vero e proprio contrasto alle disposizioni datoriali legittime, sia così evidente come nel caso di specie e tale da alterare potenzialmente anche il rapporto fiduciario tra il datore di lavoro e gli altri dipendenti, ponendo in discussione la propria autorità, il fatto materiale venga oltremodo caricato di una gravità tale da non rendere necessari precedenti ovvero recidive per determinare l’intensità dell’elemento soggettivo.

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