La riforma del contratto a termine ha suscitato tante domande durante il Tuttolavoro di ieri. Molti quesiti riguardano le regole da applicare ai contratti in corso al momento dell’approvazione della riforma, con particolare riferimento alle proroghe. Se un contratto è stato sottoscritto prima dell’approvazione del decreto legge n. 34/2014, come deve comportarsi un datore di lavoro che intendere procedere alla proroga? Deve applicare le regole preesistenti (massimo una proroga, obbligo di indicazione delle motivazioni) oppure può assoggettare quel rapporto alla nuova disciplina (massimo 5 proroghe, senza necessità di specificare le ragioni)? Applicando i principi generali, il contratto dovrebbe restare soggetto alle regole sostanziali vigenti al momento della sua firma, anche se meno favorevoli. Nulla impedisce alle parti, tuttavia, di lasciar scadere il rapporto, far passare il periodo di c.d. stop and go previsto dalla legge (10 o 20 giorni) e ripartire con un nuovo rapporto, che potrà beneficiare di tutte le innovazioni del Decreto Poletti.
Un altro tema sollevato durante il convegno riguarda la durata massima. E’ stato chiesto di chiarire se, dopo che un rapporto a termine diretto ha raggiunto il limite massimo di durata di 36 mesi, è possibile impiegare la stessa persona, per le stesse mansioni, mediante un contratto di somministrazione di manodopera. La risposta positiva al quesito sembra suggerita da una norma introdotta nel decreto in sede di conversione. Il concetto viene tuttavia espresso in maniera alquanto ellittica, pertanto sarebbe consigliabile attendere la formazione di un indirizzo interpretativo uniforme in materia. Sempre in tema di durata massima, è stato chiesto se, nell’ambito del lavoro a termine, è possibile proseguire il rapporto una volta raggiunto il limite dei 36 mesi, mediante la stipula di un ulteriore contratto presso la Direzione Territoriale del Lavoro. Nel sistema precedente era pacifica l’ammissibilità di questa opzione, e con il Decreto Poletti non sono cambiate le norme che disciplinano questa particolare forma di rinnovo; tuttavia, nel testo del decreto Poletti si assoggetto il nuovo contratto a termine ad una durata fissa di 36 mesi. Nonostante questa sbavatura, una lettura sistematica delle varie norme fa ritenere percorribile tale opzione. Una domanda riguarda l’applicabilità del diritto di precedenza rispetto a nuove assunzione effettuate dal datore di lavoro mediante contratto di apprendistato. La legge fissa tale diritto in favore di chi ha lavorato a termine per almeno 6 mesi (anche come sommatoria di rapporti diversi), qualora il datore di lavoro abbia intenzione di assumere a tempo indeterminato, nei 12 mesi successivi, per le stesse mansioni. Le mansioni svolte dall’apprendista non sembrano perfettamente sovrapponibili a quelle di un lavoratore qualificato, pertanto si potrebbe escludere la sussistenza del diritto; anche in questo caso, la complessità del tema impone prudenza applicativa. Alcune domande hanno avuto ad oggetto i nuovi limiti quantitativi. È stato chiesto di chiarire cosa accade se un ccnl fissa limiti più bassi di quelli previsti dalla legge. La norma transitoria contenuta nella riforma mantiene efficacia alle norme collettive giá esistenti, anche se fissano limiti più restrittivi. Il problema è che i contratti collettivi regole fissano limiti che presuppongono l’esistenza della causale, e quindi sarebbe opportuno procedere ad una loro rapida revisione, per adeguare le soglie al nuovo contesto normativo. Interessante anche la domanda sul contratto stipulato per ragioni sostitutive; come indicare queste ragioni? Al riguardo, sembra logico ritenere che l’esigenza sostitutiva dovrà essere indicata con forme invariate rispetto a quanto accadeva prima del decreto Poletti (indicazione del nome della persona o di elementi oggettivi in grado di confermare l’esigenza di rimpiazzare personale).
Giampiero Falasca (da Il Sole 24 Ore)