Trasferimento d’azienda: la Cassazione si esprime dopo la Corte di Giustizia

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Andrea Maria Salerno

 

Con la sentenza n. 8756 del 15 aprile 2014 la Suprema Corte è tornata a pronunciarsi in merito ad una delle questioni più dibattute in tema di trasferimento d’azienda, ed in particolare del ramo d’azienda, ossia il momento identificativo dell’oggetto del trasferimento.

Molto sinteticamente la questione riguardava l’eccezione di un lavoratore che, a seguito della cessione di un ramo d’azienda, ha visto il proprio rapporto di lavorativo traslato dalla società cedente alla società acquirente ai sensi dell’art. 2112 cod civ. Il lavoratore ha impugnato l’efficacia del trasferimento del ramo d’azienda affermando che non fosse presente l’autonomia funzionale del ramo ceduto e che quindi si trattasse non di trasferimento d’azienda ai sensi dell’art. 2112 cod civ. , bensì di una serie di cessioni contrattuali ex art. 1406 cod. civ, il che comportava la necessaria adesione del creditore-lavoratore per legittimare la cessione del contratto.

Gli ermellini, respingendo il ricorso proposto dalla società cedente, hanno confermato il proprio orientamento prevalente, affermando che l’autonomia produttiva e funzionale del ramo d’azienda oggetto del trasferimento deve essere preesistente all’atto del trasferimento stesso, non potendosi creare una struttura produttiva ad hoc al momento della cessione. Di fatti è la stessa Cassazione a richiamare, a conferma di quanto detto, il suo precedente orientamento (Cass. 20422/2012, Cass. 21697/2009; Cass. 21481/2009; Cass. 13270/2007).

L’eccezionalità della pronuncia non è riscontrabile nel principio di diritto enunciato, ben conosciuto agli addetti ai lavori, quanto piuttosto che la stessa si colloca temporalmente un mese dopo la pronuncia della C.G.E. del 06 marzo 2014, C-458/12, con cui la Corte Europea, richiamando la Direttiva 2001/23, recepita in Italia prima con la legge delega 30/2003, per poi trovare disposizioni attuative con il d.lgs 276/2003, a seguito del rinvio del Tribunale di Trento, aveva confermato la validità dell’identificazione del ramo ceduto al momento dell’atto di trasferimento, affermando, quindi, la possibilità di costituire il ramo senza che lo stesso abbia precedentemente palesato la propria autonomia funzionale e produttiva, assecondando il disposto legislativo con cui si ha trasferimento d’azienda anche per quell’attività economica ed organizzata identificata come tale “dal cedente e dal cessionario al momento del trasferimento”.

Con la pronuncia annotata la Suprema Corte mostra la sua intenzione di non rimettere in discussione l’oramai quasi consolidato principio della “preesistenza” dell’autonomia funzionale e produttiva del ramo d’azienda, richiamando, a dimostrazione di ciò, le proprie decisioni sul punto di ben sette anni fa.

Tuttavia, se al concetto di preesistenza è stato aggiunto quello di libera identificazione delle parti, principio più volte avallato dalla stessa C.G.E. , la costituzione ad hoc di un ramo d’azienda è soggetto a notevoli rischi di impugnazione.

A ben vedere, però, non è detto che l’autonomia debba essere presente e palese al momento del trasferimento, infatti è possibile che la stessa possa essersi palesata anche solo una volta e per un breve periodo, ma è necessario che essa si palesi comunque prima dell’atto di trasferimento.

Inoltre, un ulteriore aspetto trattato dalla sentenza, è quello riferibile alla cessione del ramo d’azienda intesa nei sui beni immateriali come la professionalità dei dipendenti, la loro organizzazione, il know how, l’utilizzo di marchi e brevetti, etc etc..

La Suprema Corte non nega, inoltre, che il ramo d’azienda possa essere costituito anche semplicemente dal personale dell’azienda cedente, a patto che comunque in essi sia ravvisabile il concetto di azienda così come indicato dall’art. 2112 cod. civ., ossia come “attività economica organizzata per l’esercizio dell’impresa”, il che trascende l’impostazione classica offerta dall’art. 2555 cod. civ. che individua l’azienda nella mera organizzazione di beni, siano essi materiali od immateriali (Cass. 5678/2013 conf. Cass. 20422/2012).

In conclusione, la Suprema Corte non sembra aver dato il giusto peso all’invito della C.G.E., preferendo non alterare quel procedimento di consolidamento del proprio principio che pare, in mancanza di interventi legislativi diretti o di un revirement, stia diventando diritto vivente, e che, nel caso, procurerebbe non poche perplessità in uno stato di perenne contrasto fra la giurisprudenza della C.G.E. e quella della Corte di Cassazione.

 

 

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