JobsAct, come bilanciare flessibilità e tutele

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Tiziano Treu (da Lavoro & Welfare)

 

La  misure proposte dal governo in tema di lavoro sono di diversa natura. Ma vano lette insieme, ed è importante che siano portate avanti congiuntamente.
Il decreto legge avrà un perrorso più rapido; ma la legge delega dovrebbe seguire presto per non sbilanciare l’intervento. L’urgenza dei problemi del lavoro non può aspettare; entro l’anno dovrebbe essere approvato l’intero pacchetto e nello stesso tempo dovrà partire la garanzia giovani che è stata formalmente varata dal governo Letta e deve diventare subito operativa, anche per ottenere i finanziamenti europei.

La discussione ora è concentrata sulle due misure del decreto legge: contratto a termine e apprendistato. Sull’apprendistato ritengo che possa essere utile togliere l’obbligo legale di stabilizzare la percentuale del 30% come condizione per nuove assunzioni. Tale onere è meglio lasciarlo ai contratti collettivi che già lo prevedono. Anche la riduzione dei costi di  formazione può essere opportuna, come è in Germania. Ma in quel paese la formazione si fa sul serio; e così deve essere anche da noi, se vogliamo avere giovani qualificati come è necessario per l’economia del futuro. Ammettere la possibilità della sola formazione aziendale è accettabile solo se verificabile e se ci sono controlli che tale formazione sia effettiva. Altrimenti gli incentivi agli apprendisti potrebbero essere ritenuti ingiustificati, e a ragione, dall’UE. Allora può essere utile prevedere forme di certificazione dei contenuti formativi dell’apprendistato, attraverso gli enti bilaterali o centri specializzati da individuare. La certificazione dovrebbe essere non un formalismo, come tanti altri, ma una garanzia della serietà della formazione comunque essa sia impartita, e non solo nel caso dell’apprendistato. Solo un apprendistato qualificato per i suoi contenuti formativi si può distinguere dal contratto di inserimento a tutele crescenti ipotizzato nella delega perché questo
dovrebbe caratterizzarsi non per la presenza di formazione, ma in quanto forma di avvio graduale e flessibile al lavoro dei giovani.

Sul contratto a termine ho sempre sostenuto, anche nei dibattiti interni al PD, che le causali sono fonte di contenzioso, molto costoso per aziende e lavoratori, più che garanzia di protezione. Fissare un tetto quantitativo massimo, modificabile dai contratti, come ha fatto il decreto, è un sistema non solo più semplice ma anche più tutelante.

Anche ammettere le proroghe è opportuno perché può favorire il prolungamento dei contratti a termine, che ora sono in maggioranza brevissimi, come testimoniano i dati. Ma il numero di proroghe, e di rinnovi, ammessi nel decreto è eccessivo. Si può ridurre a 3 – 4 precisando che deve trattarsi di un numero comprensivo dei contratti e rinnovi nel corso dei 36 mesi.

Resta vero che il ricorso al contratto a termine può essere accettabile e positivo se porta in termini ragionevoli alla   stabilizzazione. Questo dipende dal rapporto fra incentivi e disincentivi e dal contesto.

Il contratto a termine deve costare di più perché la flessibilità si paga e la stabilizzazione deve essere adeguatamente incentivata. Soprattutto decisivo è il contesto economico in cui si collocano gli incentivi. Il rischio di precarietà cresce con la incertezza delle prospettive economiche, ma questo vale anche per gli altri contratti.

Per questo, oltre e prima che cambiare le regole, serve uno schock per rimettere in moto la crescita, anzitutto con stimoli alla domanda. E’ quello che promette Renzi con la riduzione del cuneo fiscale. Ma un altro importante stimolo alla domanda, tramite sostegno al reddito dei lavoratori, è la introduzione di un salario minimo legale previsto nella delega. La ha stabilito di recente la Germania, che con noi era l’unico grande paese europeo a non averlo.

Qui più che mai è importante che la delega sia attuata presto.

Le misure del decreto di semplificazione e flessibilità servono se sono bilanciate dalle altre misure della delega che tentano di aumentare la sicurezza dei lavoratori secondo il migliore modello europeo della flexicurity.

All’obiettivo di rafforzare la sicurezza sul mercato del lavoro si ispirano non solo le proposte di estendere in senso universalistico le indennità di disoccupazione (Aspi e mini Aspi) ma anche la revisione e il potenziamento degli strumenti di politica attiva del lavoro e per altro verso la previsione di istituire un salario minimo legale che dovrà sostenere il reddito sia per i collaboratori a progetto, come è già previsto nella legge 92/2012, sia per tanti lavoratori poveri.

Occorrerà definire bene il passaggio dal sistema attuale di casse integrazioni eccessivamente lunghe e in deroga, a un vero welfare attivo che sostenga i lavoratori bisognosi, ma nel contempo ne promuova la attivazione con aiuti a trovare lavoro e con sanzioni nel caso in cui i disoccupati non accettino proposte di lavoro o formative alternative al sussidio.

La proposta dell’Agenzia, da tempo annunciata, sarà utile se servirà a guidare il sistema di servizi all’impiego ora disperso e unificare le funzioni di questi con la gestione degli ammortizzatori.

I centri all’impiego saranno utili e frequentati solo se sapranno offrire servizi veri e attivare sanzioni per chi non accetta le loro offerte. E dovranno collaborare con le Agenzie private sulla base di precise intese, e con obiettivi misurabili. L’Agenzia
non deve essere un altro carrozzone ma una struttura efficiente, anche unificandola con Italia Lavoro.

Fra le misure del Job Act finalizzate a migliorare il funzionamento del mercato del lavoro rientrano non solo le norme sulla liberalizzazione del contratto a termine, ma le varie indicazioni per la semplificazione degli adempimenti e dei tipi  contrattuali.
La flessibilità del sistema è favorita sia togliendo rigidità normative, come quelle relative alle causali del contratto a termine, sia riducendo eccessi di procedure e di forme giuridiche.

L’efficacia della semplificazione delle procedure e dei tipi contrattuali dipenderà dall’attuazione delle deleghe che lasciano margini significativi all’opera del legislatore delegato. Lo sfoltimento delle procedure si può fare senza guerre ideologiche, ma richiederà un opera paziente e dettagliata per distinguere fra adempimenti formalistici da superare e procedure necessarie per la garanzia di beni e interessi sostanziali.

La semplificazione, o meglio la riduzione, del numero dei tipi contrattuali ha evidenti implicazioni politiche e infatti al riguardo esistono posizioni diverse all’interno della stessa maggioranza di governo.

Al riguardo mi riservo di intervenire in sede di approvazione e attuazione della delega.

Ma fin d’ora rilevo che vanno chiariti i rapporti fra il contratto a termine liberalizzato, senza causali, il contratto di inserimento a tutele crescenti indicato nella proposta di delega e l’apprendistato semplificato, pure previsto nel decreto.

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