Lavoro a termine, qualche spunto per la conversione del dl 34

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Filippo Chiappi

Nei primi passaggi dell’iter di conversione, Il D.L. n. 34/2014 esprime nella sua interezza un’area di indubbia dialettica, soprattutto in seno alle forze politiche della Sinistra Italiana. E’ indubbio che il decreto in parola esprima un veritiero sforzo verso la flessibilità più volte inseguita e perseguita dalla precedenti legislature e puntualmente disattesa quale effetto dell’oblio di governi miopi e velatamente conservatori.
Sicuramente un primo ritocco del contratto a termine, ex D.Lgs n. 368/2001, verso una riduzione del numero delle proroghe che rispetto alle attuali 8 potrebbero diventare 6, nulla osta rispetto al piano garantista della flessibilità in entrata.
Si tratta decisamente di una eventuale virata, verso quell’armonizzazione con la somministrazione di lavoro, ex Dlgs n. 276/2003, che “illo tempore” prevede nella sua culla “collettiva” una fluida disciplina del rapporto di lavoro all’interno dei 36 mesi comprensivo di n. 6 proroghe.
Ben si tratta, ovviamente di un contratto acausale, onotologicamente parlando, vivo e pulsante in ambedue gli istituti a termine. Sebbene la somministrazione di lavoro mantenga inalterata la sua competitività costituita dalla professionalità nella gestione delle risorse, dalla selezione sino alla cessazione del rapporto di lavoro. Tenendo anche debitamente conto, come la somministrazione possa spingersi ben oltre i 36 mesi del Dlgs 368/2001, essendo un limite non pertinente.
Rimangono sicuramente fuori dagli schemi, le proposte emendative di una acausalità limitata ai 24 mesi o 30 mesi. Innanzitutto, ciò equivalerebbe ad affermare come il contratto a termine diverrebbe nuovamente causale per i restanti 12 o 6 mesi negoziali per mansioni equivalenti. Creando maggiore confusione e stratificazioni algoritmiche, gratuite ed infruttifere.
In secondo luogo perderebbe senso la sana ed incontaminata (da possibile contenzioso) flessibilità acausale.
Viceversa i primi dibattiti, nella commissione lavoro, dovrebbero eliminare le ridondanze ed i refusi, nonché dirimere il limite legale del 20%, verso la esclusione della somministrazione di lavoro che già di per sé trova una sua normazione nell’art 20, comma 4, del Dlgs n. 276/2003, così novellato dal D.L. 34/2014.

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