Contratto a termine, molti gli aspetti da sistemare

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La scomparsa della causale del contratto a tempo determinato rovescia completamente il sistema preesistente, che si fondava su una regola generale – l’obbligo di indicare le esigenze di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo che rendevano necessaria l’apposizione di un termine al rapporto – e una lunga lista di eccezioni, che consentivano di non rispettare tale obbligo.
Il rovesciamento di prospettiva introdotto dal dl n. 34/2014 è evidente, in quanto con la riforma la causale scompare del tutto, in via generale e senza eccezioni. Leggendo l’art. 10 comma 7 del decreto questa affermazione sembrerebbe essere imprecisa. La norma, infatti, assegna alla contrattazione collettiva la facoltá di definire i limiti quantitativi di utilizzo del contratto, escludendo dal computo tutti i rapporti stipulati per esigenze sostitutive oppure stagionali. Sopravvive quindi un riferimento alla causale sostitutiva, ma questo non deve essere più inteso obbligo di indicare il motivo nel contratto. Nel nuovo sistema, l’utilizzo della causale sostitutiva diventa facoltativo, e si configura in termini di opportunità: chi vuole escludere dal calcolo numerico un rapporto che nasce per coprire l’assenza di un altro lavoratore, ha l’onere di specificare questa esigenza. La redazione del motivo sostitutivo consente di accedere anche a un ulteriore beneficio: la mancata applicazione della maggiorazione contributiva dell’1,4%, introdotta dalla legge Fornero a carico di tutti i rapporti a termine, con eccezione di quelli stipulati per ragioni sostitutive.
Analoghe considerazioni valgono per i contratti stipulati per soddisfare esigenze di carattere stagionale, per i quali restano invariate le agevolazioni normative (il mancato computo nel limite quantiativo, la disapplicazione del tetto massimo di durata) e contributive esistenti.
La scomparsa della causale deve essere coordinata anche con tutte quelle norme che, stabilendo regimi speciali di acausalittà, dopo la riforma hanno cambiato di significato.
Si pensi, in particolare, a tutte quelle disposizioni che, prima dell’emanazione del dl n. 34/2014, consentivano di non apporre la causale alle imprese operanti in alcuni settori (servizi postali, trasporto aereo e servizi di terra) oppure in presenza di determinate condizioni (lavoratori iscritti nelle liste di mobilità, casi previsti dai contratti collettivi). Queste disposizioni, con l’approvazione del decreto, hanno cambiato totalmente significato: prima consentivano maggiore flessibilitá rispetto al regime generale, oggi sono più restrittive di quanto previsto in via generale. Problemi di coordinamento si pongono anche rispetto alla disciplina della somministrazione di lavoro. La cancellazione della causale per tale fattispecie deve coordinarsi con le norme che, già in precedenza, riconoscevano il beneficio per alcuni casi specifici (soggetti percettori di ammortizzatori sociali e iscritti nelle liste di mobilità, lavoratori svantaggiati, casi previsti dai contratti collettivi). Queste ipotesi non sono state abrogate, finendo di sovrapprosi con la nuova disciplina. La loro sopravvivenza non è, tuttavia, priva di effetto, in quanto i contratti acausali rientranti in una di queste ipotesi non sono soggetti ai limiti quantitativi previsti dai contratti collettivi. Proprio il tema dei limiti quantativi consente di evidenziare un altro aspetto importante. Con le norme del dl n. 34/2014, vengono fuori due differenti sistemi di computo, che variano in funzione del tipo di contratto utilizzato. Se viene utilizzato il lavoro a termine diretto, si applica un tetto pari al 20% dell’organico aziendale, suscettibile di essere modificato dai contratti collettivi e non inclusivo dei rapporti stagionali e motivati da esigenze sostitutive. Se viene utilizzata la somministrazione, non è chiaro se si applica il tetto del 20% dell’organico aziendale (la norma cita tali rapporti, ma in maniera imprecisa), valgono comunque le regole previste dai contratti collettivi, e non si calcolano i rapporti con soggetti svantaggiati, percettori di ammortizzatori sociali o rientranti nei casi previsti dai contratti collettivi. L’evidente mancanza di coordinamento di queste norme rende particolamente complessa la gestione dei limiti quantitativi che, invece, dovrebbero essere semplici da individuare, considerata l’importanza che assumono nel nuovo impianto normativo.

(Giampiero Falasca, Il Sole 24 Ore)

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