Arriva l’ennesima riforma dell’apprendistato. Sperando che sia l’ultima

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Apprendistato: arriva l’ennesima riforma. Sperando che sia l’ultima
Riforma dell’apprendistato in quattro mosse: per la forma professionalizzante scompare la forma scritta per il piano formativo, viene meno l’obbligo di seguire la formazione regionale, e si cancella la regola che stabiliva l’obbligo di stabilizzare una quota minima di apprendisti; infine, per la forma qualificante, si riduce il costo del lavoro durante la partecipazione all’attività scolastica.
Con queste misure, il JobsAct di Matteo Renzi prova ad innovare l’apprendistato seguendo la strada già tracciata dai suoi predecessori.
Dal 2011, infatti, ogni anno l’apprendistato è stato interessato da una qualche riforma: la scrittura del Testo Unico, approvato proprio in quell’anno, la legge Fornero del 2012, i ritocchi del decreto Giovannini dello scorso anno, e ora il JobsAct.
Nel mezzo, si sono stati i vari rinnovi dei contratti collettivi, che hanno dovuto faticosamente rincorrere queste riforme incessanti, e soprattutto l’approvazione delle linee guida per la formazione regionale, che avrebbero dovuto uniformare le regole dei percorsi formativi organizzati dalle Regioni.
Questo incessante lavorio normativo testimonia, ad avviso di chi scrive, una incomprensione di fondo rispetto all’apprendistato. E’ vero che per circa un decennio (dalla legge Biagi sino al Testo Unico) il contratto è stato paralizzato da un’architettura tecnica e istituzionale troppo complessa. Ma quando è stato approvato il Testo Unico, quei problemi sono stati superati.
Nonostante il quadro normativo sia stato semplificato già nel 2011, il mercato del lavoro ha continuato a lamentare la presunta eccessiva complessità di un rapporto, con il paradosso che la doglianza più ricorrente si è appuntata contro le regole regionali: regole che invece, con la riforma del 2011, erano state sostanzialmente rese inefficaci.
Dietro questo atteggiamento si cela l’incapacità del mercato del lavoro di comprendere che l’apprendistato non è, e non può essere, un contratto come tutti gli altri, perché porta con se uno scambio di grande valenza economica e professionale: lo Stato garantisce corposi sconti contributivi, in cambio dell’impegno aziendale ad erogare la formazione.
Questo scambio deve essere, in qualche modo, incanalato dentro forme e regole che consentano a chi eroga gli incentivi di verificare che la formazione sia effettivamente svolta.
Non sempre, quindi, queste regole possono essere considerate alla stregua dei soliti (e troppo ricorrenti, nella nostra legislazione lavoristica) inutili orpelli burocratici e normativi contro i quali tutti gli esperti, con il sottoscritto, combattono una giusta battaglia quotidiana.
Di fronte a sgravi contributivi così importanti, è logico e coerente che ci sia qualche passaggio in più, a meno che non si voglia scommettere solo sulla capacità del sistema di autogestirsi in maniera virtuosa.
A ciò si aggiunga il fatto che un ennesimo cambiamento è per sua natura produttivo di ulteriore complicazione, perché il sistema deve capire, interpretare e digerire le norme.
Questi argomenti avrebbero potuto suggerire maggiore prudenza nella scelta di intervenire ancora, ma è pur vero che il mercato del lavoro, specie in questi tempi di crisi, si alimenta anche di suggestioni; pertanto, di fronte a un’idea collettiva (seppure non del tutto reale) di un contratto frenato da regole troppo complesse e soggetto a norme regionali troppo vincolistiche, può essere utile e intelligente approvare una riforma che dia l’idea di aver risolto questi problemi.
L’ennesima riforma dovrebbe togliere definitivamente l’alibi dell’eccessiva complessità dell’apprendistato, e spingere le imprese (ma anche i loro consulenti, spesso impigriti da un’acritica denuncia di complessità apparenti) a sperimentare senza incertezze un rapporto contrattuale unico, per la combinazione di incentivi, flessibilità e tutele che garantisce.

(Estratto da Guida al lavoro, G. Falasca)

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