Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto legge n. 34/2014, entra da subito in vigore la norma che cancella, per tutti i rapporti a tempo determinato (senza distinzione tra primo contratto o successivo), l’obbligo di indicare le esigenze di carattere tecnico, organizzativo, produttivo che hanno indotto il datore di lavoro ad apporre una scadenza al contratto.
Il passaggio dalla causale al sistema basato sui limiti numerici determina un potente effetto di semplificazione, e spazza il campo da dubbi interpretativi e dai contenziosi connessi.
Chi vorrà assumere a tempo determinato, invece di scrivere articolate motivazioni, dovrà infatti limitarsi a compiere un’operazione molto semplice: dovrà contare. E si tratterà di calcoli abbastanza semplici. Dovrà innanzitutto verificare se il contratto a termine rientra nei limiti quantitativi fissati dalla legge (20% dell’organico, con alcune eccezioni legate ai contratti stipulati per esigenze sostitutive o stagionali) o dai quelli fissati dal contratto collettivo di riferimento. Inoltre, dovrà verificare se il rapporto rispetta il tetto massimo di durata previsto dalla legge. Tale limite è fissato dalla riforma in 36 mesi, ma bisogna ricordare che il d.lgs. n. 368/2001, con una norma che non è stata modificata, assegna alla contrattazione collettiva la facoltà di individuare una arco temporale più alto, e quella di consentire la stipula di un contratto ulteriore, mediante una particolare procedura di convalida.
Cambia in maniera importante anche la gestione delle proroghe. La legge fino ad oggi consentiva alle parti di prorogare una sola volta il contratto, e richiedeva che la proroga fosse assistita da “ragioni oggettive” (una forma diversa di causale). Una volta che il rapporto cessava, nel rispetto del c.d. stop and go, le parti potevano stipulare un nuovo contratto, e anche questo era prorogabile una sola volta.
Nella nuova disciplina, la proroga non è più condizionata alla sussistenza di specifiche ragioni. Inoltre, il numero delle proroghe ammesse cresce sino ad 8, fermo restando l’obbligo di rispettare il tetto massimo di 36 mesi. Non è chiaro se il tetto si applica al singolo rapporto o se invece abbraccia tutti i contratti che si succedono nell’arco dei 36 mesi. La prima lettura – tetto applicabile al singolo contratto – sarebbe coerente con la normativa previgente, e con la dicitura che consente le 8 proroghe in caso di svolgimento della medesima attività lavorativa: una formulazione del genere sembra pensata per il singolo contratto. La seconda lettura sarebbe invece coerente con la nozione di tetto “massimo” delle proroghe, che sembra avere carattere omnicomprensivo. Considerata l’importanza della questione, anche per i riflessi che questa può avere sul piano processuale, sarebbe opportuno un chiarimento in sede di conversione del decreto.
Viene da chiedersi se il nuovo regime delle proroghe – sia nella parte in cui non viene più chiesta la ragione, sia nella parte che innalza ad 8 il numero massimo – sia applicabile ai rapporti in corso. Applicando i principi generali, i contratti in corso dovrebbero rimanere soggetti alla vecchia disciplina, sino alla loro definitiva scadenza. Per ovviare ai problemi gestionali connessi al mantenimento in vita delle vecchie regole, tuttavia, sarà sufficiente cessare i contratti in corso (per scadenza naturale o per volontà comune delle parti) e stipulare nuovi accordi, che saranno automaticamente assoggettati alla riforma.
Il decreto legge del Governo non modifica la disciplina dei rinnovi (che presuppongono, al contrario delle proroghe, la fine del contratto precedente). Pertanto, dopo la fine di un contratto a termine, sarà possibile stipularne un altro solo dopo che sia passato un intervallo minimo di tempo (10 o 20 giorni).
Resta da capire quale effetto potrà avere il decreto per le imprese operanti nei settori dove, sino ad oggi, vigevano regole speciali (poste, servizi di volo, scuola, mobilità ecc.). Questi settori, sino ad oggi destinatari di una disciplina di maggior favore, si ritrovano improvvisamente ad operare con regole più restrittive di quelle generali; sarebbe opportuno uniformare il quadro complessivo, per evitare situazioni di irragionevole disparità.
Il decreto contiene, poi, alcuni refusi che sul piano applicativo dovranno essere analizzati con attenzione. Sembra una svista la scelta di mantenere in vita la norma sull’onere della prova scritta delle ragioni della proroga (che non sono più richieste); anche la mancata abrogazione delle norme che contengono riferimenti all’art. 1, comma 1 bis (che disciplina l’acausalità, oggi abrogata, del primo contratto) sembra un semplice errore materiale. Non pare invece un refuso, ma una scelta chiara (e condivisibile) del legislatore, la sopravvivenza della causale sostituiva; questa viene mantenuta, in quanto serve ad identificare alcuni di quei contratti che non sono soggetti ai limiti quantitativi.
(Da Il Sole 24 Ore, 22 marzo 2014, Giampiero Falasca)