Dalla catastrofe siciliana, una proposta per riformare i Centri per l’Impiego

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Francesco Giubileo

In silenzio, quasi imperturbabile, qualche mese fa è stato pubblicato il rapporto ministeriale sui Servizi pubblici per l’impiego italiani e la fotografia che viene fatta dei Centri per l’impiego siciliani sembra presentare uno scenario fantozziano.
Accanto allo scandalo della formazione, una voragine mangia soldi che conta 2200 sedi di cui nessuno conosce gli esiti in termini di impatto occupazionale, trasformata in una macchina costata fino ad oggi quasi 4 miliardi e come evidenziano Rizzo S. e Stella G.A. (Se muore il Sud, Feltrinelli) in grado di promuovere corsi per “addetti alle torrette d’avvistamento e spegnimento incendi del parco delle Isole Egadi” – peccato che il parco non esiste. Di questa voragine, ritenuta tra i peggiori esempi di formazione professionale in Europa, vorrei ricordare che nei prossimi anni si aggiungeranno le considerazione sulle politiche attive ai cassa-integrati in deroga e anche in quel caso ci sarà da piangere (purtroppo in Italia, siamo ormai noti per esportare bad-practice).
Tornando ai nostri Centri per l’impiego il monitoraggio del Ministero del lavoro (Indagine sui Servizi per l’impiego, 2013, http://www.lavoro.gov.it), evidenzia che in Sicilia ci sono 1582 dipendenti, quasi il 18% del totale e una percentuale di almeno il triplo della media nazionale. Questo numero è in media con gli altri paesi europei. Infatti la cosa preoccupante non è tanto la quantità ma la “qualità” delle competenze messe in campo.
Innanzitutto, la Regione Sicilia è la regione con la più bassa percentuale di lavoratori front-office 49%, contro una media nazionale del 70%. Sia ben chiaro, avere un numero così alto di lavoratori che non sono in contatto con il pubblico, non rappresenta per forza un indicatore di “inefficienza”, il problema e che non si conosce cosa queste persone facciano e perché rispetto altre regioni, i Centri per l’impiego pubblici abbiamo bisogno di così tanti dipendenti che operano in questi uffici.
Inoltre, nel recente accordo tra Stato-Regioni, in cui il Governo ha chiesto alle Regioni di esplicitare la loro capacità di erogare e implementare gli obiettivi della “Garanzia dei giovani”, la Sicilia è una delle poche regioni (nonostante il suo personale rappresenti 1/5 del totale) che ha chiesto di delegare direttamente a Italia-Lavoro l’attuazione del programma di lotta alla disoccupazione giovanile.
Alla luce di queste considerazioni, diciamo chiaramente che quel 3% che spesso i monitoraggi Isfol evidenziano come performance dei Cpi, in Sicilia è un miraggio. Difficile pensare ad una riqualificazione degli operatori, per migliorare le chance occupazionali dei disoccupati siciliani è necessaria una “coraggiosa” razionalizzazione delle risorse; serve un programma di “mobilità” collettiva e sostituzione del personale con psicologi sociali ed esperti in marketing per i servizi alle imprese.
L’obiettivo è quello di evitare di ricorre a subappalti, o di richiedere la “cavalleria” di Italia-Lavoro. Per evitare fraintendimenti, chi scrive non è assolutamente d’accordo con un loro smantellamento, soprattutto perché come evidenziava Marco Biagi nel 2001 chi si prende poi cura dei soggetti più svantaggiati (un discorso che vale per tutto il contesto nazionale)? Per quanto mi riguarda, sono un forte sostenitore di una possibile complementarietà tra pubblico e privato, ognuno chiamato a svolgere al meglio il suo compito (questo non toglie la totale privatizzazione del servizio di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro). Tuttavia, affinché questo funzioni è necessario creare un mercato dei servizi per l’impiego come quello lombardo (avanti di almeno un decennio rispetto alla Sicilia).
Inoltre, per conoscere quali sono e dove si trovano i datori di lavoro che assumono i lavoratori più svantaggiati è fondamentale realizzare e generalizzare il progetto delle mappe di densità (attualmente in realizzazione in Provincia di Monza e Brianza), che permette di localizzare quei pochi datori di lavoro propensi ad assumere i soggetti più difficili da collocare quali i disoccupati cronici, gli Over 45’ e le donne inattive da anni.
Inoltre, la parte burocratica deve passare tramite un call center, meglio se nazionale e utilizzando l’Inps (si ottiene il servizio a costo-zero), basta con queste file interminabili che non servono a nessuno, se non ad alimentare un sistema che fa della burocrazia il suo core-business.
Accompagnamento, orientamento e formazione vanno limitati e focalizzati all’interno di una logica volta alla concreta realizzazione di un inserimento (Black-Box); in alternativa vanno previste sanzioni e disincentivi all’opportunismo e al parcheggio dei disoccupati in questi servizi.
Infine, serve una seria governance, affidando piena discrezionalità ai dirigenti dei Servizi per l’impiego locali in modo che possano attuare gli obiettivi concordati in piena autonomia e responsabilità. In altri paesi, sono liberi di gestire il proprio personale e ne rispondono in termini di risultato. Tale responsabilità è volta allo sviluppo dei già citati servizi alle imprese, vero “Tallone d’Achille” dei Centri per l’impiego (non solo siciliani), perché in alternativa queste strutture rischiano seriamente di rimanere degli inutili contenitori di curriculum che, con la contemporanea eliminazione delle province e l’eventuale riforma delle deleghe tra Stato-Regioni, non si comprende bene da chi saranno gestiti in futuro producendo un totale blocco delle sue funzioni . La riforma dei CPI è necessaria e va fatta subito, fate presto !

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