Il diritto dell’Inps di ottenere la restituzione degli sgravi contributivi connessi ai contratti di formazione e lavoro non può essere escluso invocando il “legittimo affidamento” dell’azienda che ha percepito gli incentivi. Il datore di lavoro, se vuole impedire l’azione di recupero, deve dimostrare l’esistenza di circostanze eccezionali, che non possono coincidere con la “semplice” applicazione della legge.
Con questa affermazione, molto discutibile, la Corte di Cassazione (sentenza numero 2631 del 19 novembre 2013, depositata ieri) ha deciso il ricorso promosso da un’azienda contro una cartella esattoriale emessa dall’Inps, allo scopo di ottenere la restituzione delle agevolazioni contributive derivanti dalla stipula di alcuni contratti di formazione e lavoro.
Come noto, queste agevolazioni sono state concesse a moltissime aziende sulla base della legge n. 196/1997, ma sono diventate successivamente illegittime, a seguito della decisione della Commissione Europea dell’11 maggio 1999. Con tale decisione, sono stati giudicati compatibili con la normativa sugli aiuti di Stato solo quegli sgravi contributivi finalizzati a creare nuova occupazione per lavoratori privi di lavoro o rimasti disoccupati, o quelli riguardano l’inserimento lavorativo di lavoratori con specifiche difficoltà occupazionali.
Dopo tale decisione, lo Stato italiano è stato obbligato – anche tramite la procedura di infrazione – ad attivarsi per recuperare gli sgravi dalle aziende che, applicando la legge allora vigente, li avevano percepite. Ne è scaturito un lungo e ancora non sopito contenzioso, in quanto le aziende che hanno dovuto restituire gli sgravi hanno lamentato il fatto di essersi limitate ad applicare una legge dello Stato.
La sentenza della Cassazione – confermando un indirizzo già noto – esclude che un’azienda possa opporsi all’azione di recupero, invocando il principio del legittimo affidamento. L’impossibilità di invocare tale principio, secondo la pronuncia, discendere direttamente dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, che ha evidenziato come il riconoscimento del legittimo affidamento opererebbe come una sanatoria delle violazioni commesse dalle autorità nazionale.
La sentenza ricorda che la stessa Corte di Giustizia ha precisato che potrebbe invocarsi il principio del legittimo affidamento solo qualora il beneficiario fosse in grado di invocare circostanze eccezionali che gli hanno consentito di fondare il proprio convincimento. In alcune decisioni, inoltre, la Corte ha ritenuto sussistente in capo alle imprese un onere di diligenza particolarmente intenso, in quanto ha sostenuto che queste dovrebbero accertarsi che una certa procedura di concessione di incentivi sia compatibile con il diritto comunitario.
Applicando questi principi al caso esaminato, la Cassazione osserva che la semplice esistenza di una legge nazionale non può essere considerata come circostanza eccezionale che ingenera il legittimo affidamento; anche le sentenze dei giudici nazionali – comprese quelle della Corte Costituzionale – con le quali è stata riconosciuta la legittimità degli sgravi in questione non possono essere considerati sufficienti ad ingenerare il legittimo affidamento.
Questi concetti, non nuovi, lasciano sempre molto perplessi. Come si può imputare ad un’azienda di non aver compreso la futura illegittimità di una norma, se questa è stata considerata legittima dalla giurisprudenza, addirittura da pronunce di rango costituzionale? E’ chiaro che questo principio addossa ai datori di lavoro responsabilità che non competono loro.
La sentenza precisa infine che il diritto dello Stato al recupero degli sgravi è soggetto al termine di prescrizione decennale, decorrente dalla data di notifica della decisione comunitaria (avvenuta il 4 giugno 1999).
(Da Il Sole 24 Ore, 6 febbraio 2014)