Conciliazione obbligatoria: il punto dopo l’interpello

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Stefania Cordeddu

La Conciliazione obbligatoria in sede sindacale

Con Interpello del 22.01.2014, n. 37/0001262, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali risponde al quesito sulla validità della conciliazione conclusa in sede sindacale, nella quale il lavoratore rinunci al diritto a impugnare il licenziamento, anche in assenza del rispetto della procedura prevista dall’art. 7 L. 604/1966.
• Nel citato interpello il Ministero sostiene che la procedura conciliativa lascia inalterata la disciplina e gli effetti di cui all’art. 2113 c.c. Il citato articolo nel suo ultimo comma dispone un’eccezione alla previsione di invalidità delle rinunce e delle transazioni, laddove le stesse siano realizzate attraverso la conclusione di un atto negoziale purché sia riferibile a diritti compresi nella sfera di disponibilità giuridica del lavoratore.

Il negozio conciliativo ha, infatti, il contenuto di una transazione, di un negozio con il quale le parti pongono fine ad una lite già cominciata o potenziale, facendosi reciproche concessioni.

• Cosa prevede l’attuale disciplina? Qual è la procedura prevista dall’art. 7 n. 92/2012?

L’art. 7 L. n. 92/2012, modificando l’art. 7 della L. n. 604/1966, stabilisce in materia di licenziamenti per giustificato motivo oggettivo l’obbligo di una preventiva conciliazione, affidata alla Commissione Provinciale di Conciliazione istituita ex art. 410 c.p.c.

Secondo la sentenza della Cassazione n. 11465/2012, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni inerenti l’attività produttiva è una scelta riservata all’imprenditore, quale responsabile della corretta gestione dell’azienda anche dal punto di vista economico ed organizzativo.

Con la circolare n. 3/2013, il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, si propone di chiarire alcuni aspetti della disciplina.
La procedura pone un intervallo temporale tra il momento in cui il datore di lavoro manifesta la propria volontà di recedere dal rapporto, comunicata al lavoratore interessato, e quello nel quale il licenziamento esplica i propri effetti. Questo lasso di tempo, secondo la circolare menzionata, ha una propria utilità in quanto consente alle parti di confrontarsi presso una sede, che offre garanzie di terziarità e di trovare soluzioni alternative al licenziamento.
Non è ricompreso tra i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, il licenziamento avvenuto per superamento del periodo di comporto ai sensi dell’art. 2110.
Il datore di lavoro rientrante nel campo di applicazione dell’art. 18 L. n. 300/1970, che intende procedere ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo è obbligato ad inviare una comunicazione scritta alla Direzione del Lavoro competente per ambito territoriale e trasmessa per conoscenza al diretto interessato. Il contenuto deve far riferimento all’intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo, deve indicarne le motivazioni, nonché le eventuali misure di assistenza finalizzate ad una ricollocazione.
Questa procedura si può svolgere soltanto davanti alla Commissione di Conciliazione istituita presso la Direzione Territoriale del Lavoro, la cui composizione è espressione delle organizzazioni datoriali e sindacali maggiormente rappresentative a livello territoriale. I tempi del tentativo di conciliazione sono obbiettivamente brevi e la legge impone alla Direzione Territoriale del Lavoro, che ha ricevuto la comunicazione datoriale, l’onere di convocare le parti avanti alla Commissione Provinciale di Conciliazione, trasmettendo l’invito a comparire entro il termine perentorio di 7 giorni dalla ricezione dell’istanza.
Nel giorno e nell’ora fissata dalla lettera di convocazione, le parti sono invitate a presentarsi avanti all’organo conciliativo. L’assenza di una delle stesse senza giustificato motivo produce la redazione del verbale di assenza. È prevista, inoltre, la possibilità alle parti di essere assistite dalle organizzazioni di rappresentanza cui siano iscritte o abbiano conferito mandato o da un componente la RSA o la RSU, da un avvocato o da un consulente del lavoro. La procedura di conciliazione ha tempi predeterminati e si deve concludere entro 20 giorni dal momento in cui la Direzione Territoriale del Lavoro ha trasmesso la convocazione per l’incontro.
L’esito negativo della conciliazione si può verificare sia perché le parti non hanno trovato un accordo, sia perché si verifica l’assenza o l’abbandono da parte di una di esse.
Il tentativo di conciliazione può concludersi positivamente e le soluzioni possono essere diverse, anche alternative alla risoluzione del rapporto. In questo caso, la commissione procede alla verbalizzazione dei contenuti che divengono inoppugnabili, trattandosi di una conciliazione avvenuta ex art. 410 c.p.c.
Se si arriva ad una risoluzione consensuale del rapporto, la commissione ne darà atto attraverso il verbale riportandone tutti contenuti, compresi quelli di natura economica. La risoluzione consensuale del rapporto al termine della procedura obbligatoria è una delle ipotesi individuate dal Legislatore che derogando alla disciplina ordinaria, riconosce il diritto al godimento dell’Assicurazione Sociale per l’Impiego.

Riferimenti: Interpello del 22.01.2014, n. 37/0001262, circolare n. 3/2013; Cassazione, sentenza n. 24024/2013 e sentenza n. 11465/2012; L. n. 92/2012 , art. 7; art. 410 c.p.c.; art. 2113 e 2110 c.c.; L. n. 300/1970, art. 18.

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