La Regione Lazio ha approvato, con una delibera di Giunta, le regole necessarie per avviare in concreto il meccanismo della Garanzia Giovani. I pilastri della disciplina appena approvata dalla Regione sono essenzialmente tre.
Il primo pilastro consiste nella revisione dell’accreditamento regionale, che viene configurato come un titolo necessario per erogare servizi al lavoro all’interno del sistema dei servizi del territorio. Si tratta di una concezione molto innovativa dei servizi per il lavoro (risalente addirittura alla legge Biagi, ma trascurata per anni dalle regioni, con qualche eccezione), che vengono concepiti come un pacchetto di interventi erogabili da chiunque sia in possesso dell’accreditamento, a prescindere dalla propria natura pubblica o privata (si va dalle società di capitali alle scuole). Il secondo pilastro della normativa regionale riguarda la Garanzia Giovani. Il Piano nazionale prevede che i giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni possano fruire di un pacchetto di servizi di assistenza all’inserimento lavorativo, di specifici incentivi volti a promuovere esperienze di tirocinio o di lavoro o, infine, di misure di accompagnamento all’avvio di iniziative imprenditoriali. La Regione Lazio definisce in concreto le modalità per fruire questi interventi. Il giovane dovrà presentarsi in un Centro per l’Impiego, per chiedere di partecipare al programma, ma la struttura pubblica non avrà il monopolio della gestione delle misure; l’operatore del Centro, infatti, dovrà spiegare al giovane quali servizi sono offerti dai soggetti accreditati nel territorio regionale, e il giovane potrà scegliersi di rivolgersi a ciascuno di questi soggetti. L’attuazione concreta di queste misure dipenderà dallo sblocco effettivo delle risorse destinate al programma della Garanzia Giovani. Il percorso attuativo del programma si sta rivelando, come spesso (troppo spesso) accade nel nostro Paese, più lungo del previsto; dal 1 gennaio del 2014 ciascun giovane avrebbe dovuto avere accesso ad un pacchetto di misure da utilizzare per inserirsi nel mondo del lavoro ma, a distanza di quasi un mese, non è ancora pronto quasi nulla, e probabilmente questa fase di stallo durerà ancora fino alla primavera.
Il terzo pilastro è il contratto di collocazione. Il Centro per l’Impiego infatti proporrà al giovane di firmare un accordo, il quale potrà prevedere il riconoscimento di un voucher, di valore proporzionale alle difficoltà di collocazione, da usare per fruire di specifici servizi presso uno dei soggetti accreditati. Il giovane dovrà impegnarsi a cercare un’occupazione ed accettare offerte di lavoro consone alle proprie capacità ed esigenze, e il suo percorso sarà supervisionato da un tutor, e perderà il diritto a fruire del voucher se non manterrà gli impegni presi. Questa misura è completata dalla norma che subordinata il diritto dell’operatore ad ottenere il pagamento del voucher all’effettivo svolgimento dei servizi previsti nel contratto di collocazione.
Un meccanismo di questo tipo pare chiaramente ispirato – pur con delle differenze non secondarie – al sistema della Dote Unica creato dalla Lombardia, la prima regione a sperimentare con successo un modello di questo tipo.
Il fatto che questo modello sia scelto da due regioni così importanti è un segnale molto positivo. Come abbiamo più volte ricordato, infatti, il futuro dei servizi per l’impiego non si gioca sull’aumento degli investimenti sul personale dei Centri per l’Impiego, ma dipende dalla capacità delle regioni di adottare modelli nuovi e innovativi, che mettano al centro del sistema la natura pubblica del servizio, e non del soggetto che lo eroga; questo può essere anche privato, a condizione che sia accreditato dalla regione e che siano pagati solo i servizi resi in maniera efficace.