La rinuncia ad impugnare il licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo, convalidata in sede sindacale, può estendersi anche ai vizi derivanti dal mancato svolgimento della procedura di conciliazione preventiva. Così si è espresso il Ministero del lavoro con la riposta n. 1 del 22 gennaio 2014, avente ad oggetto un interpello formulato Confindustria.
L’interpello riguarda l’ipotesi in cui un lavoratore, dopo essere stato licenziato, raggiunge un accordo transattivo con il datore di lavoro, convalidato in una delle sedi “protette” previste dalla legge (direzione territoriale del lavoro, sede sindacale, commissione di certificazione), nel quale rinuncia ad impugnare tutti i possibili vizi del licenziamento. Se il recesso è stato intimato per giustificato motivo oggettivo, la rinuncia deve essere coordinata con l’obbligo di esperire la procedura di conciliazione preventiva, come stabilito dall’art. 7 della Legge n. 604/1966 (come modificato dalla legge Fornero).
Come noto, tale norma prevede, per il datore di lavoro che supera i requisiti dimensionali di cui all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, l’obbligo di esperire una procedura di conciliazione preventiva presso la Direzione Territoriale del Lavoro, nel corso della quale i funzionari ministeriali tentano di convincere le parti a trovare un accordo economico alternativo al recesso . Solo al termine di tale procedura – che viene attivata mediante una comunicazione contenente la dichiarazione di voler procedere al licenziamento e l’indicazione delle relative motivazioni – il datore di lavoro può procedere al licenziamento.
L’incrocio tra le due conciliazioni – quella in sede protetta, quella obbligatoria – crea problemi per quei casi, molto frequenti nella prassi, nei quali un datore di lavoro che vuole intimare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo , prima di attivare la procedura in DTL, comunica informalmente al dipendente la propria intenzione di sopprimere la posizione lavorativa, e raggiunge con il dipendente un accordo transattivo.
Al momento della formalizzazione di questo accordo in sede protetta, sorge il dubbio sulla possibilità di rinunciare ad impugnare il vizio procedurale connesso al mancato avvio della procedura introdotta dalla legge Fornero.
La nota ministeriale osserva che il nuovo testo dell’art. 7 della legge 604/1966 non ha modificato la disciplina (contenuta nell’art. 2113 del codice civile) delle rinunce e transazioni del lavoratore. Questa norma prevede che le rinunce e le transazioni sono invalide, a meno che siano realizzate attraverso un accordo che sia convalidato presso sedi abilitate dalla legge, ed a condizione che l’intesa abbia ad oggetto diritti compresi nella sfera di disponibilità giuridica del lavoratore.
A tale riguardo, il Ministero evidenza che non sussistono motivazioni di ordine giuridico per ritenere che un vizio di natura procedimentale non sia disponibile da parte del dipendente, con la conseguenza che il relativo accordo transattivo deve considerare pienamente valido.
Tale conclusione è condivisile, ma bisogna ricordare che l’istituto dell’interpello ha una sua intrinseca debolezza, in quanto non può vincolare l’interpretazione giurisprudenziale; pertanto, che le conclusioni formulate in questi atti, anche quando sono corrette e condivisibili, sono comunque suscettibili di essere disattese in Tribunale.
Da Il Sole 24, 20 gennaio 2014