Contratto di ricollocazione: timido ma positivo passo in avanti nella legge di stabilità

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Mauro Soldera

Quel che è giusto è giusto.
In precedenza avevo parlato delle difficili vicende del “contratto di ricollocazione”, proposto a più riprese dal Senatore Ichino, da ultimo oggetto di contrasti e opposizioni anche in sede di redazione dell’ultima Legge di Stabilità.
Ora è doveroso sottolineare che il provvedimento appena licenziato dal Parlamento lo cita espressamente come una delle possibili soluzioni di politica attiva, nell’ambito della destinazione a tali strumenti di un fondo di 15 milioni di Euro per il 2014.
Mi concedo un’unica nota polemica in questa sede: 15 milioni per percorsi di politica attiva, diverse centinaia per sostenere ammortizzatori sociali, il contrasto è di per sé emblematico.
In ogni caso, sul punto il testo della norma appena approvato è alquanto scarno. Di fatto, non si fa null’altro che citare il “contratto di ricollocazione”, senza dire cosa sia, quali siano le sue caratteristiche.
Si precisa piuttosto che esso rappresenta uno dei possibili strumenti (sperimentali) di politica attiva – utili a favorire il reinserimento di fruitori di ammortizzatori sociali – la cui adozione e disciplina è demandata alle scelte ed alla normativa delle singole Regioni. Un timido inizio.
Secondo le indicazioni riferite dallo stesso Senatore Ichino, il funzionamento del contratto dovrebbe essere il seguente:
– il centro per l’impiego identifica un grado di ricollocabilità della persona priva di lavoro e la informa sui contenuti del contratto;
– la persona potrà dunque scegliere un’agenzia di outplacement tra quelle accreditatesi presso la Regione competente, a cui chiedere la prestazione di servizi utili alla ricollocazione;
– l’agenzia potrà essere remunerata tramite voucher emessi dalla Regione stessa, in proporzione alle difficoltà di ricollocazione e solo in caso le azioni di ricollocazione sfocino in un’occupazione della persona per almeno 6 mesi;
– la persona, inoltre, sarà assistita da un tutor nominato dall’agenzia di ricollocazione, al quale spetterà il compito di monitorare lo svolgimento delle attività, ivi compresi i rifiuti ingiustificati della persona ad accettare nuove occasioni di lavoro o a collaborare nelle attività utili per trovarle. Tali comportamenti potranno determinare la sospensione o l’interruzione del trattamento di disoccupazione e sarà obbligo del tutor denunciarli.
Il meccanismo propriamente contrattuale, dunque, sta nell’accordo che – immaginiamo – legherà l’ambito pubblico (obbligato alla prestazione di sostegno passivo e attivo), l’agenzia di ricollocazione (obbligato alle prestazioni professionali ed al controllo, remunerata a successo) e la persona (che si obbliga a seguire fattivamente i percorsi di ricollocazione e ad accettare offerte di lavoro).
Lo stesso Senatore Ichino dice: niente di nuovo a voler considerare esperienze ben avviate nel Nord Europa. Oserei aggiungere: sulla carta un meccanismo molto semplice, lineare, direi persino logico e doveroso nel tentativo – che parrebbe più serio che in passato – di legare il sostegno passivo alle azioni attive. La perdita del sostegno in caso di rifiuto di occasioni di lavoro non è infatti una novità nel nostro ordinamento, così come non lo è l’obbligo di denuncia da parte di strutture pubbliche o private del rifiuto a proposte di lavoro o formative.
Rimane determinante per qualsiasi ulteriore analisi l’intervento che vorranno produrre le Regioni sul tema. Per alcune si tratterà probabilmente solo di adeguare meccanismi già esistenti.
La speranza è che la possibile sperimentazione non si impantani nelle paludi di opposizioni mosse da logiche meramente paternalistiche ed assistenziali; o nel fatto che il già difficile compito dato ai privati di porsi come censori di comportamenti scorretti si riveli nei fatti impraticabile perché gravato di rischi ed effetti insostenibili.

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