#Job Act: attenzione a non approvare l’ennesima riforma inutile

Posted by

Pasquale Siciliani, DLA Piper

Cosa potevano chiedere di meglio quest’anno a Babbo Natale gli Italiani se non una riforma del lavoro che veramente snellisse la burocrazia che appesantisce il nostro ordinamento più di un panettone e rilanciasse l’occupazione? Ebbene, con tanto di scampanellio di renne abbiamo effettivamente trovato sotto l’albero le anticipazioni sul “Job Act”.

L’occasione è unica. Nessuno più del giovane neo-segretario del partito favorito per le prossime elezioni ha la possibilità di portare nuove idee e riuscire dove molti altri hanno fallito. Scartando ansiosi il nostro pacchettino natalizio abbiamo tuttavia trovato un’amara sorpresa. Dalle prime indiscrezioni la struttura portante dell’annunciata riforma non ci è sembrata poi così innovativa e soprattutto contiene delle sviste miopi.

Il contratto di lavoro unico è la madre delle semplificazioni. Su questo c’è poco da obiettare. Ma non lasciamoci abbagliare. La semplificazione deve essere funzionale a una migliore flessibilità del mercato del lavoro e non determinare una ferrea rigidità come l’introduzione di un’unica tipologia contrattuale, al contrario, farebbe. Il nostro sistema mal si adatterebbe a una soluzione così estrema che, oltre a non tener conto delle evidenti diversificazioni che sono necessarie nell’attuale mercato del lavoro, causerebbe preoccupanti disparità tra chi avrebbe già un contratto di lavoro all’epoca della riforma e i “diversamente” assunti.

E che dire della disapplicazione dell’art. 18 per i primi  36 mesi? Sarebbe come spazzare per terra nascondendo la polvere sotto il tappeto. Il problema non viene eliminato ma soltanto posticipato. Proviamo a indovinare cosa succederebbe alla fine del trentacinquesimo mese: il lavoratore viene licenziato? Del resto art. 18 e contratto unico sono chiaramente incompatibili e bisognava pur inventarsi qualcosa per far quadrare il cerchio. Abbiamo bisogno di riforme strutturali e di regole certe non di temporanee deroghe e misure tampone. Il contratto unico (già bocciato in passato) è una riforma puramente ideologica e per questo destinata al fallimento.

Parliamo del sussidio di disoccupazione universale per tutti. Pur non essendo un economista ho l’impressione che per trovare adeguata copertura economica non basti vendere le spiagge ma bisognerà vendere anche qualche montagna, laghi e forse un paio di isole…

Non vogliamo essere i detrattori di una nuova riforma, vogliamo soltanto offrire spunti di riflessione a chi oggi siede nella stanza dei bottoni.

La semplificazione deve intervenire in maniera chirurgica e concreta senza stravolgere l’attuale impianto normativo. Partiamo dalle cose veramente semplici che non richiederebbero un particolare sforzo nella legiferazione: abolizione della causale ai contratti a termine (foriera di contenzioso spesso strumentale). Risultato: certezza del diritto e maggiore flessibilità. Cancellazione rito Fornero (un inutile grado di giudizio aggiuntivo inspiegabilmente introdotto dal governo precedente). Risultato: alleggerimento ruoli giudici, maggiore efficienza della giustizia, regole meno complesse. Innalzamento della soglia per l’applicazione della tutela reale a 20-25 dipendenti (quante aziende hanno oggi soltanto 14 dipendenti per evitare l’applicazione dell’art. 18?). Risultato: favorire l’aumento dell’occupazione. Cancellazione, con qualche doverosa eccezione, di ogni forma di incentivazione alle assunzioni (sistema talmente complesso da non essere pienamente utilizzabile) e destinazione dei fondi alla riduzione del costo del lavoro.

Insomma, speriamo nella Befana e che non sia solo carbone!

Rispondi