Giampiero Falasca, Il Sole 24 Ore, 6 dicembre 2013
La procedura di repressone della condotta antisindacale – disciplinata dall’articolo 28 dello Statuto dei lavoratori – non si applica alla controversia promossa da un singolo componente della RSU allo scopo di esercitare il diritto di assemblea; questo perché la controversia riguarda la RSU ed i suoi componenti e non già la condotta antisindacale del datore di lavoro.
Tali principi molto innovativi sono espressi in una recente ordinanza del Tribunale di Torino (2 dicembre 2013, giudice Mollo) con la quale è stata decisa la controversia promossa da un’organizzazione sindacale la quale aveva lamentato la violazione del diritto di assemblea di un proprio rappresentante in seno alla RSU. Questo lavoratore aveva chiesto in due occasioni di indire un’assemblea ai sensi dell’articolo 20 dello Statuto dei Lavoratori, ma in entrambe le occasioni la società aveva rigettato la richiesta, sostenendo che il diritto di convocare l’assemblea spettava alla RSU nella sua interezza e non ai singoli membri della medesima.
La società, per dare coerenza alla propria impostazione, metteva in evidenza di aver sempre accolto le richieste di convocazione dell’assemblea quando erano state formulate da parte dell’intera RSU. L’organizzazione sindacale ricorrente contestava questa lettura, rivendicando il diritto di indire l’assemblea sindacale da parte del singolo membro del RSU.
Il giudice ha rigettato la domanda, partendo dalla considerazione che per valutare se sussiste o meno l’attualità della condotta antisindacale è necessario fare un diretto riferimento alla lesione lamentata e alla possibilità di porvi rimedio. A tale riguardo, prosegue l’ordinanza, è improprio parlare di RSU appartenente a specifiche sigle sindacali, in quanto le rappresentanze unitarie non sono la promanazione di un singolo sindacato.
Alla luce di questa ricostruzione, secondo il Giudice, un singolo sindacato non può presentarsi come soggetto legittimato a far valere una lesione della libertà sindacale che coinvolge in via diretta la RSU all’interno del quale milita un proprio aderente, e non il sindacato medesimo. Nel caso deciso dal Tribunale, in altre parole, l’organizzazione sindacale non lamenta un atteggiamento lesivo del datore di lavoro nei confronti dei propri diritti e delle proprie prerogative di azione, ma lamenta una asserita illegittima restrizione della libertà sindacale del proprio associato che partecipa alla RSU.
Questa domanda secondo il Giudice è inammissibile, in quanto viene invocata la violazione di una prerogativa che non appartiene al sindacato ricorrente.
L’ordinanza affronta anche il merito della questione, ricordando che in ogni caso la presunta lesione al diritto sindacale è stata comunque superata dalla concessione dell’assemblea, con la conseguenza che sarebbe comunque venuto meno qualsiasi comportamento antisindacale da far cessare.
A fronte di questo, la controversia si riduce nella semplice richiesta di un accertamento in merito alla spettanza del diritto a convocare l’assemblea; l’accoglimento del ricorso, quindi, non sarebbe funzionale alla repressione di una condotta antisindacale, ma al contrario servirebbe a risolvere una difficoltà di collaborazione tra i rappresentanti eletti all’interno di liste affiliate a diverse sigle sindacali. Per questi motivi, la domanda viene dichiarata inammissibile, per carenza dei presupposti previsti dall’articolo 28 dello Statuto.