Licenziamento disciplinare e ASPI: il punto dopo l’interpello ministeriale

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Stefania Cordeddu

È possibile considerare il licenziamento disciplinare una ipotesi di disoccupazione involontaria per la quale è prevista l’Aspi? Il datore di lavoro può non pagare il corrispondente contributo?

L’Interpello n. 29/2013 del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, cerca di chiarire se è possibile configurare, in caso di licenziamento disciplinare per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa, un diritto del lavoratore a percepire l’Aspi e il conseguente obbligo del datore di lavoro di versare il contributo di cui all’art. 2, comma 31 della L. n. 92/2012.
Il su menzionato art. 2 ha introdotto l’Assicurazione Sociale per l’Impiego, con l’intento di fornire una indennità ai lavoratori in stato di disoccupazione involontaria. La medesima norma pone a carico del datore di lavoro un contributo per i casi di interruzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, dovuto nelle stesse ipotesi in cui il lavoratore ha diritto all’Aspi.
Le cause di esclusione del contributo e dell’Aspi sono tassative e riguardano i casi:
• di dimissioni – con l’eccezione delle dimissioni per giusta causa e delle dimissioni intervenute durante il periodo di maternità tutelato dalla legge;
• di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.
Tra queste cause di esclusioni non compare il licenziamento disciplinare, fatto confermato dalle numerose circolari Inps intervenute in materia per disciplinare le ipotesi in cui l’indennità e il contributo non sono dovuti.
La stessa Corte Costituzionale, con sentenza n. 405/2001, circa l’opportunità in caso di licenziamento disciplinare venisse corrisposta l’indennità di maternità, aveva affermato che alla protezione della maternità andava attribuito un rilievo superiore rispetto alla ragione del licenziamento, trovando un efficace sanzione già il fatto che ha dato luogo al licenziamento.
• Su tali basi il Ministero del lavoro nell’Interpello menzionato, sostiene da un lato, che la fattispecie in esame è suscettibile di essere analizzata con il medesimo metodi di ragionamento adottato dalla Corte Costituzionale, precisando che anche nel caso in specie il licenziamento disciplinare può essere considerato un’adeguata risposta dell’ordinamento al comportamento del lavoratore e negare la corresponsione dell’Aspi costituirebbe un’ulteriore reazione sanzionatoria nei confronti del lavoratore.

• D’altro lato lo stesso precisa, che il licenziamento disciplinare non può ex ante essere qualificato come disoccupazione volontaria. La sanzione del licenziamento quale conseguenza di una condotta posta in essere dal lavoratore non è automatica.

L’adozione del provvedimento disciplinare è sempre rimessa alla libera determinazione e valutazione del datore di lavoro e costituisce esercizio del potere discrezionale ed è come tale impugnabile.
Con tali argomentazioni, il Ministero del lavoro ha ha affermato che non ci sono margini per negare il diriritto all’ASPI anche nel caso di lcienziamento per giusta causa.

 

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