Rito Fornero inapplicabile al contratto a progetto

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Paolo De Luca, Avvocato, DLA Piper

Con una recentissima ordinanza del 12 novembre 2013, il Tribunale di Roma ha stabilito che il nuovo rito abbreviato per i licenziamenti non sia utilizzabile nel caso in cui un lavoratore autonomo – nella specie un collaboratore a progetto – rivendichi la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato. Nel caso di specie il lavoratore ha sostenuto che la cessazione del contratto, dovuta alla naturale scadenza del termine, debba essere considerata un licenziamento orale, con le conseguenze previste dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. Il Giudice ha disatteso tale ricostruzione. Non si può utilizzare il nuovo rito, infatti, per rivendicare l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato o per impugnare la legittimità del termine apposto al contratto, ove manchi un formale atto di recesso da parte del datore di lavoro. Il Giudice ha quindi respinto le domande basate sull’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. Mentre, con riferimento alla sottostante domanda di accertamento della subordinazione, ha disposto il passaggio dal Rito Fornero al Rito Ordinario. Che tradotto in termini pratici significa: stesse parti, stessa causa, stesso Tribunale, stesso Giudice; ma altre regole processuali! Non c’è che dire: complimenti davvero al legislatore! La Riforma Fornero si poneva l’obiettivo di riformare il diritto del lavoro in una prospettiva di semplificazione e di crescita. Lasciamo ai lavoratori ed agli imprenditori il compito di giudicare se i quasi 300 commi della Legge intitolata all’ex Ministro del Lavoro siano stati utili allo scopo. Quello che davvero non si comprende è il motivo per cui si è deciso di modificare l’unico aspetto del diritto del lavoro su cui nessuno ha mai avuto davvero da ridire: il processo. Nato del 1973, il processo del lavoro si è rivelato nel tempo un modello vincente, ben più lineare e pratico del rito normalmente applicabile alle cause civili. Tanto è vero ciò che nel 2011 il legislatore aveva deciso di tagliare i numerosi riti civili esistenti (circa 30) per diverse materie, riducendoli a 3. Nel contesto di tale importante (e realmente illuminata) opera di semplificazione, il processo del lavoro era stato preso a modello: molti riti speciali erano stati aboliti (es. opposizione ai verbali di accertamento per violazione del codice della strada, opposizione ad ordinanza ingiunzione) proprio per essere sostituiti dal rito del lavoro. Ma come si dice nessuno è profeta in patria, se proprio il legislatore del lavoro ha deciso di mettere confusione là dove c’era ordine. Invece che investire sulla giustizia (come era doveroso), si sono introdotte nuove regole, peraltro con un notevole grado di approssimazione. Ne è derivato che proprio le cause di licenziamento coperte dall’art. 18 sono state sottratte all’ambito del rito del lavoro; o meglio, i gradi di giudizio sono aumentati (da tre a quattro), con un ulteriore aggravio di tempi e costi di cui nessuno sentiva il bisogno. Ringraziano – lo diciamo ironicamente – gli avvocati, sempre più confusi ma al contempo sempre più indispensabili.

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