Un sistema cervellotico che mette in fuga gli stranieri. Ripubblichiamo il bel pezzo di Siciliani (e grazie a il Foglio)

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Pasquale Siciliani, avvocato presso DLA Piper
twitter: pasq_siciliani

Uno dei cavalli di battaglia dei vari governi susseguitisi nel recente passato è la fatidica frase “dobbiamo convincere gli stranieri a investire nel nostro paese” o “bisogna essere competitivi”.
Nessuno mette in discussione la nobiltà del pensiero ma permetteteci di raccontare, con un po’ di colore, a chi di mestiere aiuta gli stranieri a orientarsi nel nostro mercato del lavoro come il nostro evoluto sistema normativo e di relazioni industriali è percepito all’estero.
Partiamo dall’ovvio. Ci chiedono di quantificare i rischi di un licenziamento con applicazione dell’art. 18? C’è il caso A se il licenziamento è discriminatorio, il caso B se il licenziamento è disciplinare e il caso C se il licenziamento è per motivi economici. Tuttavia il caso C potrebbe celare il caso A o il caso B quindi li dobbiamo considerare tutti e tre. In realtà ci sarebbe anche il caso D qualora non venisse rispettata la procedura. Quale procedura? Spieghiamo anche la procedura di conciliazione. A questo punto il malcapitato HR manager ci dirà che in realtà il dipendente non è performante e ne vogliono soltanto assumere uno più bravo. Niente di più complesso. Dovremo fare una dettagliatissima contestazione disciplinare comparando le prestazioni del dipendente con quelle di altri di pari livello, dimostrare che il rendimento è inaccettabile, che non è colpa della crisi, seguire la procedura disciplinare e via dicendo.
Lo sconsolato HR manager ci chiederà “ma non sono libero di licenziare un dipendente che non performa?”. No.
Andiamo avanti. Fino a ora abbiamo parlato dei rischi ma ci sono anche i costi fissi. Quali? Il preavviso, le ferie, i permessi, le ferie sul preavviso, i ratei di 13ma e 14ma, il contributo ASPI, il TFR normale e quello sul preavviso. Cos’è il TFR? Eh….
L’agonizzante HR manager a quel punto si farà due conti e ci chiederà se il dipendente possa lavorare il preavviso per far risparmiare un po’ la società. Bisognerà trovare il coraggio di spiegargli che se il dipendente poi si mette strategicamente in malattia sarà necessario aspettare qualche mese in più… un concetto non sempre comprensibile per gli stranieri, soprattutto per i nordici.
Le perplessità aumentano quando il cliente vuole attuare una ristrutturazione aziendale e si parla di procedura di licenziamento collettivo, del sistema di relazioni industriali, degli ammortizzatori sociali e dei rischi e costi connessi.
In maniera scherzosa abbiamo voluto rappresentare una situazione tipica nel nostro lavoro che però è lo specchio delle difficoltà che una multinazionale può incontrare nella gestione dei rapporti di lavoro nel nostro paese. Costi eccessivi, poca flessibilità e soprattutto incertezza del diritto.
Non giriamoci attorno, licenziare in Italia è molto difficile, costoso e ha tempi eccessivamente lunghi. Non ne vogliamo fare una questione etica se ciò sia giusto o meno, il dato di fatto è che la nostra disciplina spaventa e scoraggia l’investitore straniero invece di attrarlo.
Come già osservato in questo blog, e non solo da noi, sarebbe tuttavia riduttivo e ingenuo semplificare i problemi del mercato del lavoro con l’art. 18. Gli spauracchi, sempre dagli occhi degli stranieri, sono altri.
La rigidità dei contratti a termine, l’eccessivo costo del lavoro, l’aleatorietà del lavoro parasubordinato e autonomo sono temi che destano puntualmente il disappunto (ma a volte anche lo sconcerto) dei clienti stranieri. In alcuni casi abbiamo anche riscontrato lamentele rispetto alla protezione della lavoratrice madre, fiore all’occhiello dei nostri diritti civili!
L’errore è ritenere che interventi quali ridurre i tempi tra un contratto a termine e un altro o introdurre farraginose agevolazioni alle assunzioni possano davvero invertire il trend. Per essere competitivi bisogna vagliare riforme che semplifichino le regole e che ci avvicinino maggiormente agli stati europei. Suggerimenti? Cancellare gran parte della riforma Fornero, elevare il numero dei dipendenti per l’applicazione dell’art. 18, alzare la soglia dei licenziamenti che determinano l’applicazione della procedura di mobilità, commisurare il risarcimento del danno da licenziamento illegittimo all’anzianità di servizio, eliminare la causale da tutti i contratti a termine, semplificare le agevolazioni alle assunzioni, ridurre (veramente) il cuneo fiscale, e chi ne ha più ne metta.
Qualche giorno fa un cliente non europeo nel corso di una teleconference in cui si parlava di trasferimento di azienda è sbottato: “ma come è possibile… In Italia non si può comprare un’azienda senza potersi scegliere i dipendenti?” Per fortuna che in questo caso ci siamo potuti difendere dicendo che abbiamo semplicemente applicato una direttiva europea…

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